Perché il prezzo del petrolio è così alto?

Debolezza del dollaro, cattive politiche federali e speculazioni dei fondi ad alto rischio.
 
di Paul Craig Roberts* – CounterPunch

 Come si spiega il prezzo del petrolio? Perché è così alto? Lo stiamo davvero finendo? Sono state interrotte le forniture, o gli alti prezzi sono il riflesso della bramosia delle compagnie petrolifere, oppure dell’OPEC? Chavez e i sauditi ci stanno cospirando contro?
 
Secondo la mia opinione sono due i fattori principali dell’aumento del prezzo del greggio: la debolezza del valore di cambio del dollaro statunitense e la liquidità che la Federal Reserve Bank sta mettendo in circolazione.
 
Il dollaro debole è una conseguenza del grande deficit finanziario e commerciale il cui esito sfugge alla politica statunitense. Siccome gli abusi hanno finito con lo svilire il ruolo del dollaro statunitense come moneta di riserva, i venditori chiedono più dollari come copertura a fronte del cambio al ribasso e alla sua perdita di credibilità come valuta di riserva.

In uno sforzo concepito per impedire una grave recessione e nuove crisi dei prodotti derivati, la Federal Reserve sta buttando in circolo una liquidità che serve a finanziare le speculazioni dei futuri contratti petroliferi. Le banche che investono e i fondi di speculazione ad alto rischio stanno restaurando le malconce strutture del capitale con i benefici ottenuti dalle speculazioni sui futuri contratti petroliferi altamente sovrastimati, così come fanno gli speculatori immobiliari che spingono contratti che fanno alzare i prezzi delle case. La futura bolla petrolifera finirà con lo scoppiare, e con un po’ di fortuna, prima che si creino nuovi derivati sulla base dell’alto prezzo del petrolio.
 
Ci sono altri fattori che colpiscono il prezzo del petrolio. La prospettiva di un attacco statunitense contro l’Iran ha aumentato la domanda, perché si cerca di fare scorta in modo da essere preparati in caso dell’interruzione del flusso. Nessuno sa quali possono essere le conseguenze di un’aggressione tanto votata al fallimento, e questa situazione d’insicurezza sta contribuendo ad alzare il prezzo del petrolio, infatti, potrebbe essere coinvolto tutto il Medio Oriente. Le strutture produttive sono limitate e l’impatto del prezzo ha un limite.
 
Il ministro del petrolio saudita ha recentemente dichiarato: “Non c’è niente che giustifichi al momento l’aumento del prezzo”. Quello che il ministro voleva dire è che non si tratta di scarsità della materia prima né dell’interruzione degli approvvigionamenti. Non esistono ragioni diverse da quelle speculative o psicologiche.
 
L’aumento del prezzo coincide con un periodo di significative aggressioni dell’esercito statunitense e israeliano in Medio Oriente. Il salto di qualità si è consumato negli ultimi 18 mesi.
 
Quando Bush ha invaso l’Iraq nel 2003, il prezzo medio del petrolio quell’anno era di 27$ al barile, o di 31$, se teniamo conto dell’inflazione in dollari del 2007.
 
Nel 2004 il prezzo è salito d’altri 10$, fino ad arrivare ad un prezzo medio annuale di 42$ (in dollari del 2007), altri 12 nel 2005, 7 nel 2006 e 4 nel 2007, fino a raggiungere i 132$ del 2007.
 
Al di fuori di termini speculativi, risulta difficile spiegare un salto nel prezzo di 70 $.
 
In passato i prezzi del petrolio erano già stati alti. Fino al 2008, il record mondiale del prezzo del petrolio è stato di 104 $ nel dicembre del 1979 (misurato in dollari del dicembre 2007). Recentemente, nel 1998, il prezzo reale del petrolio era più basso che nel 1946, quando il prezzo nominale era di 1,63$ al barile. Durante il regime di Bush il prezzo del petrolio, calcolato in dollari del 2007, è aumentato da 27$ a circa135$.
 
E’ possibile che quest’aumento improvviso sia stato soggetto alle aspettative circa la possibilità che i democratici finiscano la guerra e siano in grado di contenere Israele, ottenendo in Medio Oriente la pace e la giustizia per i palestinesi.
 
Ora che Obama si è compromesso con l’AIPAC [1] ed assunto la posizione di Bush verso l’Iran, l’aumento potrebbe contenere la previsione del fatto che la politica israelo-statunitense terminerà col provocare interruzioni importanti dell’approvvigionamento del petrolio. In più le recenti dichiarazioni di Israele che considerano “inevitabile” un attacco contro l’Iran ha fatto sì che il prezzo del petrolio si alzasse di colpo di altri 8$.
 
Forse l’alto prezzo è anche dovuto ai bassi interessi statunitensi a lunga scadenza. I tassi d’interesse statunitensi sono attualmente sotto il tasso d’inflazione, per non parlare del valor del cambio del dollaro. Gli economisti che danno per fatti gli interventi razionali in mercati razionali, non riescono a spiegare perché si dovrebbero accettare indefinitamente tassi d’interesse sotto il tasso d’inflazione,
 
Da ciò dipende il fatto che il governo statunitense non informa i suoi cittadini delle cifre reali d’inflazione, e ciò da quando il governo Clinton ha manipolato l’Indice dei Prezzi al Consumo (IPC) per contenere i pagamenti alla Previdenza Sociale, negando in tal modo ai pensionati le correzioni alle loro pensioni a causa del cresciuto costo della vita. Secondo lo statistico John Williams, se si utilizzasse il calcolo del IPC dell’era anteriore a Clinton, si arriverebbe ad un IPC attuale di circa il 7,5%.
 
Se si sottostima l’inflazione, si ottiene che la crescita reale del PIL sembri più alto. Se si misurasse l’inflazione, probabilmente, si capirebbe che gli USA non hanno avuto nessuna crescita del PIL nel XXI secolo.
 
Williams informa che per decenni i governi hanno truccato i dati su inflazione e impiego per farli sembrare minori. L’effetto cumulativo ha finito col privare d’autenticità le contromisure. Allora, mi sembra di capire che se tanto i tassi d’inflazione come la disoccupazione, fossero calcolati come si faceva in origine, sarebbero al 12%.
 
Buttare in circolo denaro per evitare la recessione e nascondere i problemi del bilancio è quanto fa la Federal Reserve per forzare i prezzi delle materie prime e degli alimenti in generale. Ma i profitti reali statunitensi non stanno crescendo. La politica economica statunitense ha creato per la maggioranza della popolazione, compresi i posti di lavoro all’estero, livelli di vita più bassi.
 
La crisi che minaccia gli USA è la perdita del ruolo mondiale della sua valuta. Una volta che il dollaro perda quel ruolo, il governo statunitense non può più finanziare le sue operazioni chiedendo prestiti all’estero, e gli stranieri smetteranno di finanziare il pesante deficit commerciale statunitense. Questa crisi finirà col togliere agli USA il suo ruolo di potenza mondiale.
 
N.d.T.
[1] AIPAC (American Israel Public Affairs Committee): è uno dei gruppi più potenti e influenti negli USA, esegue compiti di lobby nel Congresso e alla Casa Bianca affinché le sue politiche favoriscano sempre Israele.
 

*Paul Craig Roberts è stato Sottosegretario del Tesoro nel governo Reagan. Editore Associato della pagina editoriale del Wall Street Journal e Editore della National Review. E’ coautore del libro “The Tyranny of Good Intentions”.
 

Traduzione dallo spagnolo per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare