di Anton Baumgarten
Le tesi espresse nell’ultimo saggio di Dmitrij Jakushev «Tesi sulla prospettiva socialista in Russia dopo Putin»[1] meritano un’attenta analisi. Le questioni teoriche generali discusse sono estremamente importanti, a maggior ragione per il fatto che l’Autore le passa in esame attraverso il prisma del momento storico attuale, il passaggio del potere presidenziale in Russia da Putin al suo successore Dmitrij Medvedev. Purtroppo, egli scrive di cose serie con una sconvolgente negligenza però sia rispetto ai fatti che alla logica stessa, e non solo giungendo a conclusioni affrettate, ma presentando queste ultime sotto forma di indiscutibili assiomi.
Inizierò con le sue valutazioni di questo momento «medvedeviano». A mio parere nell’articolo è stato esagerato il carattere di discontinuità fra il corso di Putin e la supposta (!) direzione che invece prenderà Medvedev, così come lo stesso corso di Putin è stato rappresentato in una luce molto idealizzata. L’obbiettivo che Putin si pose non fu la nazionalizzazione dei settori strategici dell’economa, ma il loro passaggio di mano dall’oligarchia compradora e dai monopoli occidentali ai burocrati statali e ai capitalisti provvisti di una «visione nazionale». Putin è sempre stato e resta un neoliberale in economia, una creatura della restaurazione capitalista, come Medvedev del resto. La questione però è se Putin sia riuscito o meno durante il suo governo a creare una classe borghese in Russia: io penso di no. Ad ogni modo le ultime scoperte effettuate dal gruppo Burcev.ru[2] dimostrano come la «nazionalizzazione» di Putin sia di fatto sfociata nella creazione di un complesso Finanziario-Industriale-Energetico (FIE), monopoli e oligopoli in cui sono fortemente intrecciati apparato burocratico dello Stato, capitalisti privati e i vertici dei servizi segreti e del mondo criminale.
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