DEMOCRAZIA APPESA AD UN SOFTWARE

 

 

In viaggio tra influencer e troll nel complicato mondo dei commenti grillini pro e contro la fiducia. «On line il 90% dei contenuti è creato dal 10% degli utenti». La massima del marketing virale firmata Gianroberto Casaleggio ricorda e capovolge quel «Siamo il 99%», slogan lanciato dai movimenti Occupy in tutto il mondo

Una delle più note massime di Gianroberto Casaleggio – pubblicata sul suo sito 3 anni fa – recita così: «On line il 90% dei contenuti è creato dal 10% degli utenti. Questi utenti sono gli influencer». L’espressione non è sua, ma dell’esperto americano di marketing Paul Gillin, che l’ha coniata per primo. Aggiorna, se vogliamo, all’era della Rete, le vecchie ricerche anni ’50 del sociologo Paul Lazarsfeld, che osservò il ruolo degli opinion leader nella diffusione a due fasi della comunicazione mediatico-politica, e definì la loro «influenza», appunto.

«Gli influencer – continua Casaleggio – vanno valutati come asset strategici delle aziende». Hanno blog, postano video, sono attivi sui social network, e perciò possono convincere a vendere auto, telefonini, vacanze, pannolini. Come ben sa, aggiungiamo, chi si avventura sui siti che propongono «l’opinione degli utenti» a proposito di prodotti e servizi sul mercato: opinioni spesso finte, pagate, sollecitate secondo le regole del marketing virale. Nel post di Casaleggio sugli influencer non si fa cenno alla politica, e neppure al ruolo degli influencer nello spostare voti. Il fenomeno è entrato da qualche tempo nelle agende degli studiosi di comunicazione. Non andrebbe tuttavia dimenticato che un saggio sul legame tra marketing e politica lo diede Forza Italia nel 1993, che in mancanza di internet usò la rete dei venditori Publitalia per dare una struttura territoriale al movimento.
Il legame tra marketing e politica o – detta in altri termini – la questione della democrazia interna al moVimento, lo sappiamo, è quello che ha fatto storcere il naso a parecchi. Fino al giorno delle elezioni, questo genere di sospetti e ironie sono stati rilanciati e dibattuti ampiamente dalla Rete. Con scarso successo, si direbbe (e certamente con notevole sottovalutazione della profondità del fenomeno). Ma il dibattito non è certo finito e anzi attende i «grillini» alle loro prime mosse da cittadini eletti (vedi l’intervista a Wu Ming ieri su questo giornale). Lunedì prossimo i cittadini eletti del MoVimento si incontreranno a Roma con Grillo, Casaleggio e con lo «staff». Ecco una buona occasione per cercare di capire qualcosa di più concreto di quel che accadrà.
Nel frattempo, luogo privilegiato per l’osservazione resta il blog di Beppe Grillo. Tra i 100 più popolari del mondo, secondo quello che è quasi uno slogan. Ieri il blog si apriva con il post del «mercato delle vacche» («il solito modo puttanesco di fare politica», «Bersani è fuori dalla storia»), nel quale Grillo avverte che il movimento non si può fermare con «i soliti giochini di palazzo». Per chi è abituato a raccontare la politica attraverso lo schermo della tv, l’istantaneità della battuta o dello scazzo tra politici, tutt’al più a cogliere l’espressione di chi – militante, simpatizzante – in carne ed ossa partecipa a una manifestazione di piazza (è successo pure ai grillini nel rush finale della campagna elettorale) leggere un blog come quello di Grillo, specie nella parte riservata alle «opinioni», è un’impresa non poco faticosa, lenta, spesso frustrante.
Dopo poco meno di due ore dall’apparizione del post di Grillo i commenti sono 2222. Ma sono più di 18.000 quelli linkati alla prima bordata contro Bersani «morto che parla». «Buongiorno Beppe – esordisce l’elettore Marco alle prese con un dubbio lecito – Non credo che tu li legga, correggimi se mi sbaglio, c’è qualcuno preposto a leggerli e segnalarti quelli degni di nota? Un salutone». Ad ogni modo, una lettura il più possibile veloce dei commenti suggerirebbe ancora di dividere in parti approssimativamente uguali l’appello alla responsabilità («la campagna elettorale è finita. E’ ora di mettersi al lavoro», «come si fa a votare sui punti senza dare la fiducia al governo?») e l’accordo pieno con l’intransigenza di Grillo («tutti a casa», lettere maiuscole). Con qualche ulteriore corollario anti-Bersani: governo tecnico ma non come quell’altro, governo 5 stelle vediamo se votano i nostri provvedimenti, se la cavino da soli. Eccetera.
Dal punto di vista giornalistico potrebbe anche andar bene. Ma non è così semplice. In un blog ci sono i troll. In ogni luogo della Rete dove è consentito l’intervento degli utenti, troll è colui che disturba la comunicazione, il provocatore, il pazzo. E ci sono i fake, che adottano identità posticce per confondere le proprie intenzioni. E’ opinione abbastanza comune tra i partecipanti al blog di Grillo (probabilmente militanti della prima ora), che gli interventi «responsabili» siano in realtà delle manovre di disturbo del Pd meno elle. E che ci siano gruppi di troll pagati dal Pd, secondo i più duri. Suggestivo. O comunque, di provocatori e «infiltrati». «Ma cari italioti del Pd e Pdl che continuate a scrivere su questo blog spacciandovi per attivisti del M5S, ma perchè non vi fate un blog tutto vostro e la smettete di rompere i coglioni?!». Lo scrive Alessandro da Codogno.
Pure una certa (giustificabile) paranoia, insomma, aleggia nel blog di Grillo. E fa il paio con tutto quel che sappiamo, da vecchi frequentatori della Rete: l’impolitezza dei commenti, spesso il loro segno antropologico più che politico, l’estremismo verbale o direttamente trash. Con l’ingegnosità folle di certe proposte: «facciamo in modo che chi è veramente un 5 stelle possa avere il suo post contrassegnato da un simbolo» (riassumo questo perché non lo trovo più, ma l’ho letto). E così via. E c’è il sospetto, sempre fondato, che nell’era della Rete «l’opinione”» il post di commento, siano in realtà dei feticci. Feticci della discussione, della democrazia, dell’audience, che in realtà pochi o nessuno (se non chi li ha scritti) leggeranno fino in fondo. Ma questo è un effetto collaterale della democrazia digitale. Appartiene, da sempre, alla democrazia in genere, come gran parte dei problemi che ci si trova ad affrontare anche in questo caso.
E allora? Una delle preoccupazioni più serie che affiorano dalle migliaia di post della giornata, prende spunto proprio da un motto di Grillo: «uno vale uno». O in altre parole: chi decide? Dove? Come? Leonardo: «Scusate una piccola parentesi tra fiducia si/no: ma non dovevamo decidere dal basso, uno vale uno?? Fate presto una piattaforma e leviamo tutte le beghe: votiamo a maggioranza. La piattaforma presto, LA PIATTAFORMA!!!». Che questa sia una questione percepita come molto seria dagli amministratori del blog lo si capisce da un post che compare subito dopo, pubblicato in apertura di pagina. «Leggo con stupore presunti esperti discutere a nome del M5S (…) Il M5S dispone di un programma che sarà sviluppato on line nel tempo da tutti i suoi iscritti. La piattaforma, uno spazio dove ognuno veramente conterà uno, è in fase di sviluppo dopo il rallentamento dovuto all’anticipo delle elezioni».
La piattaforma. E’ in fase. Di sviluppo. Si può e deve metaforicamente sparare su Bersani, ma quando nel corso della conferenza stampa post elettorale della non-vittoria ha usato più volte la parola «palingenetico» a proposito del movimento di Grillo, beh, non andava così lontano dal vero. La piattaforma, probabilmente il famoso meetup, oppure quel Liquid Feedback che consente dar forme e mimare on line proposte, dibattito e decisioni di un’assemblea virtuale e potenzialmente infinita, non è ancora pronta, dicono dal moVimento. Si aggiungerebbe sommessamente che «inventare» un’assemblea e il suo modo di funzionamento è quasi un paradosso, come tanti altri in questa storia. Ma pazienza.
Anzi no. Messa così sembra davvero una scusa pietosa: non c’è democrazia perché non abbiamo ancora il software! C’era un pensiero che avevo in testa quando ho iniziato a scrivere citando la teoria degli influencer di Casaleggio. Ricordate? On line il 90% dei contenuti è creato dal 10% degli utenti. Un pensiero scemo, un lampo, una sensazione. E’ lo slogan del movimento Occupy: «Noi siamo il 99%». Lo dedico al nuovo lumpenproletariat della comunicazione, al feticcio dell’elettore perso nei meandri della Rete, sospeso tra le sirene degli influencer e la sua solitaria rabbia: il 99% di quelli che scrivono post in Rete che nessuno leggerà mai, confusi tra post che nessuno ha mai scritto, e post che nessuno scrive e nessuno legge. Ritrovarlo, e con lui una via d’uscita in questa storia, se va avanti così non sarà facile.