Il caso Rosenberg

di Geraldina Colotti

da Il Manifesto del 22/06/2008

Parla il figlio dei due ebrei comunisti, giustiziati negli anni ’50: «Negli Usa un nuovo maccartismo»

«Vennero a prendere i miei genitori nel luglio 1950, dopo lo scoppio della guerra di Corea. Li uccisero il 19 giugno del ’53, poche settimane prima che finisse la guerra, ritenendoli colpevoli di cospirazione finalizzata allo spionaggio: un’accusa per cui non occorrevano prove», racconta al manifesto Robert Meerepol, figlio minore di Ethel e Julius Rosenberg. I Rosenberg, ebrei comunisti americani, vengono condannati per aver passato all’Urss le formule per costruire la bomba atomica. Ma per le migliaia di attivisti che li sostengono, si tratta di un processo farsa. Un processo che farà storia, come quello di Sacco e Vanzetti nel ’27 . Robert, che allora ha sei anni, finisce in orfanotrofio insieme al fratello Michael, finché i coniugi Meerepol, sfidando il clima da caccia alle streghe che vige negli anni del senatore repubblicano Joseph Mc Carthy, adottano i due bambini.

«Devo la mia sopravvivenza – racconta adesso Robert – al sostegno di un’intera comunità. Così ho potuto crescere, diventare un militante della Nuova sinistra, istituire la Rosenberg foundation for children (Rfc), e aiutare i figli degli attivisti di sinistra colpiti dalla repressione, ci trovate al sito www.rfc.org. Faccio anche parte del gruppo dirigente del Murder Victims’Family for Human Rights, la più grande organizzazione americana contro la pena di morte e le sparizioni». Lo spirito della Fondazione? Spiega Meerepol: «Abbiamo 4 principi guida: l’uguaglianza fra le persone, la necessità della pace nel mondo, il primato delle persone rispetto al profitto, la sostenibilità ambientale. Considero l’ambiente una questione essenziale e parte della lotta per un cambiamento radicale della società. Nel mio piccolo, pur vivendo negli Usa ed essendo contagiato dallo stile di vita americano basato sullo spreco delle risorse, ho installato i pannelli solari e cerco di assumere comportamenti compatibili con l’ambiente».
Oggi, Meerepol riesce a scherzare sulla «speciale eredità» che possiedono lui e il fratello: quella di essere le uniche persone negli Stati uniti a cui siano stati giustiziati entrambi i genitori. Ma nel volume autobiofrafico Quando il governo decise di assassinare mio padre e mia madre (tradotto da Angela Ferretti per l’editore Zambon), racconta quanto sia stato difficile essere il figlio dei Rosenberg e come abbia elaborato il dramma in termini di « vendetta costruttiva». Spiega: «Sono approdato a un pacifismo strategico, ossia alla ricerca di nuovi strumenti per combattere la guerra e il sistema senza scendere sul terreno in cui il nemico è più forte. Ne ho fatto esperienza con i Weathermen. Sono favorevole all’autodifesa e in alcuni momenti storici allo scontro armato, ma resto una “testa di fungo”, come mi chiamavano all’università: incline all’unità e al compromesso».
Per Meerepol, il caso Rosenberg è ancora di importanza vitale: «I miei genitori erano ebrei, laici e comunisti. Quanto più distante dai fondamentalisti islamici di oggi. Eppure ci sono molti paralleli agghiaccianti tra il caso Rosenberg e l’oggi. Allora, il governo ha usato la paura del comunismo e della bomba atomica, gli spauracchi più temuti dall’opinione pubblica. Oggi, si serve delle armi di distruzioni di massa nelle mani del terrorismo internazionale per giustificare l’aggressione all’Iraq e uno stato di guerra permanente e preventiva. Un clima di intimidazione impedisce di garantire i diritti agli imputati per terrorismo. Centinaia di persone sono detenute a Guantanamo nella più completa illegalità e chissà quante migliaia nelle carceri segrete della Cia sparse per il mondo…»
In questi casi la Fondazione interviene? «Non direttamente – risponde Mereepol -. Però mia figlia maggiore, che è avvocato, fa parte del New York Center for Constitutional Rights (http://ccrjustice.org). Nel 2004 ha vinto la prima battaglia legale sul caso Guantanamo contro l’amministrazione Bush, che però non ha migliorato le condizioni dei detenuti. Bush tenta di aggirare il sistema giudiziario. Siamo di fronte a una vasta espansione del potere esecutivo. Il presidente e la sua cricca vogliono governare il mondo al di sopra delle leggi». Il punto di svolta è stato però l’attacco alle Torri gemelle. «Sei settimane e un giorno dopo l’11 settembre – afferma Meerepol – Bush ha trasformato in legge il Patriot act: 342 pagine di una legislazione complessa e pervasiva, approvate senza discussione per dare l’assalto alle libertà civili e ai diritti umani. Il mio primo pensiero è stato: come hanno fatto a mettere insieme tutto in un mese? Non sono partiti da zero. Le vecchie leggi di Mc Carthy fornivano una griglia pronta. Sembra quasi che abbiano solo sostituito la parola comunismo o sovversivo con terrorismo, e poi rielaborato tutto al computer».
Esiste, però, un’opposizione al nuovo maccartismo: «Associazioni di avvocati, movimenti radicali contro il sistema penitenziario (abbiamo 2 milioni di detenuti), soldati che disertano, ambientalisti che subiscono 10 anni di prigione per aver danneggiato delle proprietà, un atto terroristico per il governo. Ex del Black panther party, che hanno tra i 55 e i 70 anni sono stati nuovamente processati per l’omicidio di un poliziotto, 35 anni dopo che il caso era stato respinto dalla corte perché l’unica prova era una confessione sotto tortura. Il governo vuole ridefinire il dissenso in termini di terrorismo, introdurre come prove le dichiarazioni sotto tortura. Però c’è spazio per una coalizione contro questa sorta di fascismo neanche troppo soft ». Che includa Obama? «Su di lui non mi faccio illusioni – rispondeRobert – non farà cambiamenti radicali, ma lo sosterrò perché potrebbe dare un po’ di respiro al mondo dopo l’ondata guerrafondaia di Bush».