Quello che i fascisti non vogliono sentir dire

Comunicato di Resistenza Universitaria – Militant – Collettivo A pugno chiuso

Dopo l’aggressione squadrista di martedì 27 maggio, vogliamo esprimere massima solidarietà ai compagni feriti e fermati dalle forze dell’ordine che si sono legittimamente difesi.
Siamo davanti ad un atto vigliacco di matrice fascista, compiuto con premeditazione.
L’evento rientra nella campagna revisionista che da anni cerca di riscrivere la Storia di questo paese ad uso e consumo delle classi dominanti.
Questa volta il pretesto, come candidamente ammesso dallo stesso segretario romano di Forza Nuova, sarebbe stato il convegno sulle foibe organizzato nelle settimane scorse nella facoltà di Lettere. Sotto accusa sarebbe stato l’intervento della nota ricercatrice e storica triestina Alessandra Kersevan (cfr. Corriere della Sera 27-5-2008).
In occasione del convegno alcuni esponenti della citata organizzazione neofascista, a partire dall’europarlamentare Roberto Fiore, e, cosa assai più grave, alcuni importanti quotidiani nazionali (i quali hanno riportato tali affermazioni senza nemmeno verificarne la veridicità) hanno ignobilmente accusato gli organizzatori e la stessa storica triestina, di aver compiuto una operazione di “negazionismo”.

Tale circostanza risulta falsa e del tutto priva di fondamento. Riteniamo necessario precisare che il citato convegno ha visto l’esclusiva partecipazione di storici di comprovata fama e competenza, non è al contrario intervenuto alcun politico; in occasione del convegno si è proceduto ad una disamina rigorosa di documenti e fonti, con il supporto di materiale audiovisivo.
Tutto ciò allo scopo di procedere ad una iniziativa di approfondimento con meticoloso rigore storico. Enorme è stata la partecipazione di studenti, docenti e ricercatori.
Non è un caso, d’altronde, che ogniqualvolta si provi a demistificare i fatti di Istria degli anni 1943-1945 si finisca inevitabilmente col toccare un nervo scoperto per i fascisti, vecchi e nuovi, e per i revisionisti d’ogni colore.
Il tentativo è quello di operare un “accostamento aberrante”, mettendo sullo stesso piano i nazifascismi (con i lager) ed i partigiani comunisti (con le foibe).
È significativo a tal proposito, che una delle prima dichiarazioni del neoeletto sindaco Alemanno sia stata proprio sui viaggi della memoria degli studenti romani che, secondo le sue intenzioni, dal prossimo anno, prima di andare Auschwitz, dovranno passare per la “foiba” di Basovizza. Questa operazione ha come target l’immaginario collettivo, prima ancora che il dibattito storiografico.
L’attacco alla Resistenza si propone, infatti, un duplice scopo: da una parte relegarla a parentesi tragica di guerra fratricida (in cui tutti i protagonisti avrebbero pari dignità); dall’altra espellere le masse dalla Storia, obliandone la conflittualità e disperdendo quella “tradizione degli oppressi” di cui parla Benjamin.
Tutto ciò, ovviamente, in funzione di quella crociata anticomunista volta a depennare dall’orizzonte politico ogni possibilità di trasformazione radicale della società.
Qualsiasi costruzione pseudo-storiografica può servire allo scopo, da Porzus al triangolo rosso, dalla Volante Rossa alle Foibe.
Periodicamente si assiste alla montatura di un nuovo caso, alla spettacolarizzazione della Storia, aspetto essenziale per chi sta dispiegando quello che potremmo definire “revisionismo mediatico di massa” e che ha la necessità di inventare e costruire novità per porre sotto i riflettori la propria ideologia.
Contrariamente a quanto poteva avvenire qualche tempo fa non è più la ricerca storica che comunica attraverso i media, ma è la cultura politica dominante, filtrata dai media, che si impone agli storici, ai manualisti, alle istituzioni culturali.
Questo spiega, ad esempio, il fenomeno Pansa, che in assenza di un metodo storico rigoroso, e con un uso assai disinvolto delle fonti, è riuscito a farsi megafono di una cultura fascistoide che faticava a trovare sbocco nell’editoria commerciale.
Questa vulgata, poi, si solidifica anche nella acquiescenza delle istituzioni (spesso patrocinanti eventi ed iniziative a dir poco aberranti da un punto di vista rigorosamente storiografico), ed ha trovato la propria cristallizzazione nell’istituzione della “giornata del ricordo”, una sorta di 25 aprile di destra, votata di comune accordo da centrodestra e centrosinistra, per commemorare i morti italiani nelle foibe (di volta in volta vittime, martiri, eroi), vero mito fondante della seconda repubblica, antipopolare e anticomunista.
Mito che poi ha trovato consacrazione definitiva nelle fiction della Tv di stato; il revisionismo pagato coi soldi del servizio pubblico.
Quello che più sconcerta, però, è l’ignavia di certa sinistra di fronte a questa opera coatta di rimozione della memoria collettiva, in nome di un finto buonismo politico, sordo a tutte le ingiustizie sociali ma sempre pronto a trovare una concertazione ed una rivisitazione di comodo e bipartisan della Storia.
Tutto ciò con un appiattimento bilaterale sulle tesi un tempo patrimonio esclusivo delle rivendicazioni politiche dell’estrema destra.
Riaffermiamo quindi l’assoluta necessità di questo impegno politico e militante, che passi anche da una difesa ed una resistenza culturale.
I fatti di questi giorni, ed i tristi episodi dei giorni scorsi sempre a Roma, ci confermano, ora più che mai, l’attualità dell’antifascismo, che dovrà essere, al tempo stesso, pratica sociale, culturale e militante quotidiana. E non liturgia retorica o feticcio da rispolverare alla bisogna. Da qui la necessità di ripartire da un blocco sociale ampio, condiviso, partecipativo.
La mobilitazione democratica e di massa ha decretato l’esclusione dei fascisti dall’università.
Tutte le istituzioni dell’ateneo, nonché le istituzioni politiche cittadine e nazionali, hanno dovuto prendere atto di tale circostanza.
Ad ogni modo vogliamo ricordare a tutti gli “uomini di stato” zelanti difensori della legalità, ovviamente a fasi alterne, che l’università è un luogo di cultura e di sapere.
Non è un luogo di spot elettorali per europarlamentari, e che per loro non esiste alcun “diritto” ad esprimersi. La par condicio, il “minutaggio”, il contraddittorio, “il panino” non appartengono ai luoghi di sapere e di scienza.
L’università non è il salotto di Vespa, né il TG1 di Riotta.
La storia è materia degli storici, e non va piegata alle esigenze della politica e dei politici.