Segretario del Partito o Partito del Segretario?

di Enzo Jorfida

E’ questo l’interrogativo che sorge quando si assiste alla personalizzazione della politica. E mentre nel primo caso la Politica si scrive con la “P”,nel secondo caso la scrivo con la“p”. L’americanizzazione del modo di fare politica sta anche in queste modalità. Tutto dipende dal “capo”,anche il Partito, che così non cresce, diventa solo un”ripetitore” del verbo del “capo”.
Si vuol far passare l’idea, già presente nel corpo elettorale sia di destra che di centro, che quando il “popolo” vota. si tratti di un Comune, di una Regione o Provincia, dello Stato o di un Partito, non ha importanza il “collettivo” (consiglio comunale, provinciale o regionale, del Parlamento o di un organismo di Partito) ma bensì l’individuo che sarà posto al vertice di quell’organismo collettivo, che nei fatti viene depauperato dei suoi compiti, prerogative, piccole o grandi che siano.
Il “comune” scompare e prevale, solo e in solitudine,“l’io”.
No, non è questo quello che abbiamo deciso al momento di costituire il PRC, prima Movimento per la Rifondazione Comunista e poi Partito della Rifondazione Comunista.

Certo le decisioni non sono immodificabili. Ma ognuno deve essere chiaro, nel rapporto con gli iscritti e le iscritte a cui tutti dicono di volersi affidare nello svolgimento dei Congressi di Circolo che sono gli unici a decidere, in questo caso, quale maggioranza e/o quali minoranze saranno alla fine abilitate a comporre il Comitato Politico Nazionale del PRC.
C’è totale chiarezza o c’è ambiguità?
Occorre affidarsi ai testi dei documenti congressuali.
Cosa significa infatti, per i sottoscrittori del Documento “Manifesto per la Rifondazione”, che ha già lanciato la proposta del loro candidato a Segretario del PRC (ledendo, a mio parere, il ruolo e le prerogative del futuro CPN), la frase-parte quarta, 4°, L’avvio di un processo costituente della sinistra – posta alla fine del capoverso “Dobbiamo avviare libere cessioni di sovranità nella determinazione delle decisioni, sperimentando così la tenuta del tessuto unitario e mettendo alla prova la costruzione dei gruppi dirigenti.” Cessione di sovranità è l’esatto contrario dell’autonomia politica. Sperimentare e mettere alla prova la costruzione dei gruppi dirigenti significa una cosa sola, e cioè che prevalgono i gruppi dirigenti (le loro decisioni) della sinistra rispetto alle decisioni di quelli di partito (cessione di sovranità).
E’, nella sostanza, l’avvio del superamento del PRC!
Altra cosa è il rapporto unitario a sinistra fra formazioni politiche (partiti) che mantengono la loro sovranità decisionale, organizzativa, finanziaria, politica, programmatica ed ideale, sia sul terreno locale sia su quello nazionale che internazionale (in primo luogo europeo).
Chiarezza vuole chiarezza. Infatti nel Documento “Rifondazione in movimento, rilanciare il Partito, costruire l’unità a sinistra” si legge, già in quella che definisco la premessa al Documento stesso “Per questo non ci trova concordi il tentativo di trasformare il congresso in un referendum sul leader.” E poi, più avanti “L’esistenza del Prc non è, per noi, in discussione né per l’oggi né per il domani”. E infine,sempre nella premessa,” Non presentiamo, dunque, questo documento con l’ambizione di scrivere “il programma” del Partito: invitiamo, invece, le iscritte e gli iscritti a contribuire, dai territori, ad emendare ed arricchire questo documento. A costruire, insieme, il progetto politico, il futuro di Rifondazione comunista e della sinistra. Ripartiamo insieme a quella sinistra reale, a quelle centinaia di migliaia di compagni e compagne con e senza tessera, che ha colorato di rosso le strade di Roma il 20 ottobre 2007.”
Mi sembra che qui sia chiaro l’intendimento che affida al “popolo sovrano” (gli iscritti e le iscritte ma anche tutti coloro che, pur non essendo iscritti al PRC, sono scesi in piazza, qui e ora, e lo faranno anche domani, per cambiare già da oggi, nella realtà quotidiana, le loro condizioni) le scelte.
Il collettivo quindi e non il “capo” (titolo che il compagno Gramsci detestava). Il “capo” viene dopo, il”capo” ci può e ci deve essere “primus inter pares”, primo ma uguale agli altri, contro le oligarchie vecchie e nuove che potrebbero determinarsi solo se mancasse una partecipazione attiva, anche passionale, nel dibattito odierno e nelle decisioni del e per il domani.