di Vittorio Bonanni
da Liberazione
Il triangolo rosso, la violenza postliberazione in Emilia fatta di vendette ed esecuzioni sommarie, la delegittimazione dunque di quella lotta che sta invece alla base della nostra repubblica e quindi dell’antifascismo. Tutti questi elementi sono all’origine del lento e inesorabile smantellamento del “mito” della Resistenza, che proprio in Emilia Romagna, e in particolare a Reggio, aveva conosciuto i momenti più epici e forgiato l’identità della regione. Quei fatti, lungi dall’essere oggetto di indagine storiografica, sono invece stati usati in chiave politica. Basti pensare al “Chi sa parli” del 1990 di matrice craxista che diede la stura ad una vulgata storica che ha conosciuto la sua punta di diamante nei lavori di Giampaolo Pansa, in particolare Il sangue dei vinti . Chi ha cercato di vederci chiaro negli avvenimenti drammatici di quegli anni – 1945-46 – restituendo loro una dignità storica è Massimo Storchi, storico e responsabile del polo archivistico del comune di Reggio Emilia, che nel suo libro Il sangue dei vincitori. Saggio sui crimini fascisti e i processi del dopoguerra (1945-46) (Aliberti editore, pp. 286, euro 16), senza tralasciare le vendette sommarie messe in atto da ex-partigiani, punta l’indice contro la mancanza di giustizia nei riguardi dei crimini fascisti e fa risalire proprio a questo peccato originale l’incapacità della repubblica italiana di trovare un’identità abbastanza forte da resistere alle sfide del tempo.
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