Quello che i fascisti non vogliono sentir dire

Comunicato di Resistenza Universitaria – Militant – Collettivo A pugno chiuso

Dopo l’aggressione squadrista di martedì 27 maggio, vogliamo esprimere massima solidarietà ai compagni feriti e fermati dalle forze dell’ordine che si sono legittimamente difesi.
Siamo davanti ad un atto vigliacco di matrice fascista, compiuto con premeditazione.
L’evento rientra nella campagna revisionista che da anni cerca di riscrivere la Storia di questo paese ad uso e consumo delle classi dominanti.
Questa volta il pretesto, come candidamente ammesso dallo stesso segretario romano di Forza Nuova, sarebbe stato il convegno sulle foibe organizzato nelle settimane scorse nella facoltà di Lettere. Sotto accusa sarebbe stato l’intervento della nota ricercatrice e storica triestina Alessandra Kersevan (cfr. Corriere della Sera 27-5-2008).
In occasione del convegno alcuni esponenti della citata organizzazione neofascista, a partire dall’europarlamentare Roberto Fiore, e, cosa assai più grave, alcuni importanti quotidiani nazionali (i quali hanno riportato tali affermazioni senza nemmeno verificarne la veridicità) hanno ignobilmente accusato gli organizzatori e la stessa storica triestina, di aver compiuto una operazione di “negazionismo”.

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Verona, dove il Carroccio si tinge di nero

di Paola Bonatelli

su Il Manifesto del 03/06/2008

Stefano Torre, di Fn, complice degli assassini di Nicola Tommasoli, è solo l’ultimo esempio dei legami tra Lega e estrema destra

Furono due giovani legati a Forza Nuova ad accompagnare nella fuga in Austria Nicolò Veneri e Federico Perini, due dei cinque aggressori di Nicola Tommasoli, il ventinovenne veronese morto un mese fa per le lesioni subite senza essere mai uscito dal coma. I due nuovi indagati, l’accusa è di favoreggiamento, hanno 19 e 25 anni, e del più giovane non è stato reso noto il nome. L’altro è Stefano Torre, capolista di Forza Nuova in circoscrizione, non eletto ma indicato successivamente come membro della Commissione Politiche giovanili della circoscrizione nientemeno che dalla Lega Nord. Così, mentre il Tribunale del riesame, cui avevano fatto ricorso i legali di quattro dei cinque giovani, detenuti nel carcere di Montorio, rende note le motivazioni del rigetto dell’istanza – i cinque, secondo i giudici, non avevano intenzione di uccidere ma «malgrado la loro giovane età presentano profili preoccupanti che palesano pericolose e incomprensibili inclinazioni alla violenza» – la città, o meglio la sua parte «sana», si interroga sui legami tra la Lega, che con Flavio Tosi al 61% ha stravinto le scorse amministrative, e le destre più o meno estreme. Niente di nuovo, dice chi studia e denuncia da anni il fenomeno che unisce Carroccio, destre (istituzionali e radicali) e integralisti cattolici in una trama tanto evidente quanto misconosciuta. Eppure, dato che stavolta c’è scappato il morto, qualcosa potrebbe cambiare anche nella percezione di chi ha votato per la «sicurezza» di Tosi e camerati.

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Voglio un partito così

di Elena Ulivieri

Qualche settimana fa sono uscita a cena con la compagna Martina. Avevamo deciso di recarci assieme al Gas, (gruppo di acquisto solidale, quello con le verdurine fresche biologiche, i formaggi e il latte, la ricotta e lo yoghurt prodotti da agricoltori locali; quello della “spesa a chilometri zero” e dell’agricoltura omeodinamica) che si riunisce ogni mercoledì presso la sede di un centro sociale in periferia vicino al periferico paese dove abitiamo. Abbiamo scelto una pizzeria molto popolare e altrettanto economica, a metà strada tra casa e Gas. In quell’occasione ho proposto a Martina di prendere la tessera di Rifondazione Comunista. Mi immaginavo che mi avrebbe detto di no, così, quando lei mi ha detto di no, ho amaramente precisato che per me era importante chiederglielo, più che ottenere una risposta positiva.

Voglio un partito per cui poter insistere.

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I veri nodi in gioco nell’agenda di Rifondazione

di Alberto Burgio

su Il Manifesto del 04/06/2008

Se Rifondazione comunista non riesce a essere sede di un «lavoro comune di indagine e proposta» per l’elaborazione di una «visione comune» alle forze della sinistra; se non riprende il cammino della Sinistra Arcobaleno, bruscamente interrotto dalla disfatta elettorale, allora il suo travaglio è sterile e insignificante. In questo caso, «che ci importa del suo congresso?». Così Rossana Rossanda chiude la sua lettera a Rifondazione (il manifesto, 17 maggio 2008). Provo a rispondere non eludendo la questione. Cruciale, ma alquanto dilemmatica.

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Il sindacato di classe è tramontato

Così Epifani alla conferenza d’organizzazione, il cui documento finale passa con 582 sì, 129 astenuti (la Fiom di Rinaldini) e 16 contrari (rete 28 aprile). Un anticipo dello scontro congressuale di Fabio Sebastiani

«Non si può giocare in difesa, è inutile chiudersi in una casamatta quando hai davanti un quadro difficile come quello di oggi, bisogna rischiare, non stare fermi».

Era quasi inevitabile che la Conferenza d’organizzazione della Cgil si trasformasse in un congresso in sedicesimo. E il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, nelle conclusioni non si è sottratto certo al clima. Se da una parte ha replicato quasi punto per punto agli attacchi del segretario generale della Fiom Gianni Rinaldini, dall’altro ha riproposto la chiave della sua strategia, ovvero che Confindustria e Governo non sono così impenetrabili come sembrano e quindi vale la pena tentare di portare a casa un risultato utile per il sindacato. Sembra proprio che il disastro della “concertazione-uno” non abbia insegnato nulla. Secondo Epifani, oggi non c’è più il conflitto capitale/lavoro a caratterizzare l’orizzonte dei rapporti sociali e politici. «Le contraddizioni riguardano anche le imprese al loro interno e i rapporti tra lavoratori». E’ vano pensare, quindi, che si possa costruire un argine all’offensiva delle imprese sul contratto nazionale.

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L’antifascismo si fa anche coi nomi delle strade

di Tonino Bucci

da Liberazione

La politica di oggi ama definirsi bipartisan e dialogante. L’Italia delle istituzioni appare un paese soft . Nei palazzi del potere si scrivono le leggi tutti assieme. Maggioranza e minoranza vanno di comune accordo e finalmente (per loro) il parlamento è stato “semplificato” (eufemismo per dire che non c’è più la sinistra rompiscatole). Il governo di centrodestra tira diritto per la sua strada ma senza scontri frontali. E lancia messaggi di moderatismo e concordia.
Eppure la società ci rinvia un’immagine di segno opposto, quella di un’Italia hard , di un paese percorso nelle sue tante periferie da spiriti animali. Dalle città giungono notizie in sequenza di aggressioni, pogrom e caccia allo straniero in pieno stile neofascista. La società con i suoi processi di disgregazione, con le sue paure e le sue pulsioni violente, è pervasa da una cultura di destra che è divenuta ormai senso comune da bar.
C’è contraddizione fra il moderatismo della politica e le pulsioni viscerali del paese? In superficie forse sì. Il protagonismo aggressivo di formazioni di estrema destra come Forza Nuova – o dello squadrismo spontaneo che comunque ha interiorizzato i tratti culturali del fascismo – sono un ostacolo per la destra di governo, certo. Ma osservate in profondità quelle due Italie sono figlie l’una dell’altra. Sono il frutto di un corto circuito fra una politica di destra, padronale e securitaria, da un lato, e il populismo xenofobo di cui la prima ha bisogno per camminare e prosperare, dall’altro. C’è da farsi poche illusioni sul presunto moderatismo della destra di governo. Anche per quel che essa sta facendo nella cultura di questo paese.
Prendiamo l’esempio della toponomastica come la intende il neosindaco di Roma Alemanno. Nulla di più innocuo in apparenza. In fondo, dedicare una via ad Almirante e una a Berlinguer, una a Craxi e un’altra pure a Fanfani, sembrerebbe un gesto bipartisan, un segno di pacificazione fra tutte le storie politiche italiane. Ma dietro il linguaggio rassicurante della politica della destra si nasconde un estremismo minaccioso per la convivenza civile. Siamo di fronte a una gigantesca operazione sulla memoria storica: riaccreditare la storia del fascismo italiano nell’alveo delle culture politiche legittime e smantellare nel senso comune del paese quel che resta della cultura resistenziale e dei principi della Costituzione. Enzo Collotti non è certo tra coloro che ne sottovalutano la portata. C’è da credergli vista la sua lunga esperienza da storico della Resistenza e dei fascismi in Europa.

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