Gli Usa ritornano al 1980

di Galapagos

su Il Manifesto del 17/05/2008

La fiducia dei consumatori ai livelli più bassi degli ultimi 28 anni. Nuovo record del petrolio.

Come nel 1980, ha commentato l’Università del Michigan che ha pubblicato ieri il dato sulla fiducia dei consumatori in maggio. Come dire: la fiducia dei consumatori è scesa ai livelli più bassi degli ultimi 28 anni. A dare una nuova spallata è arrivato il record, l’ennesimo, del prezzo del petrolio che é a un pelo da quota 128 dollari al barile. Un quadro congiunturale «nero», come ha confermato due giorni fa la Fed diffondendo il dato sulla produzione industriale in aprile. E il pessimismo si diffonde alimentato da una povertà crescente che costringe sempre più cittadini a dormire in macchina, come abbiamo saputo ieri da un bel servizio della Cnn.


Il paragone fra la situzione economica attuale e quella del 1980 non è improprio. Come oggi, anche nel primo anno di quela decade il Pil era declinante (nell’anno segnò una flessione dello 0,2%). Anche allora i prezzi salivano vorticosamente (oltre il 9%) come ora; anche nel 1980 a trainare l’inflazione era il petrolio: poco meno di 33 dollari al barile il prezzo nominale che in termini reali (adeguati al tasso di inflazione) significano circa 80 dollari al barile, un prezzo che è stato superato solo negli ultimi 12 mesi.
Il risultato di quella fase di stagflazione, accompagnata da inflazione, fu un incremento record della disoccupazione accompagnato da una massiccia ristrutturazione dell’industria Usa. Nascono in quegli anni le rust belt, le cinture della ruggine, con le quali vengono indicate le aree industriali – a volte intere città – abbandonate. Oggi la situazione è simile, forse peggiore, con l’aggravante di una crisi finanziaria causata dei mutui subprime che sta assorbendo montagne di soldi pubblici. Ma è anche peggiore perché il prezzo del petrolio si è impennato (e non per colpa dell’Opec) colpendo duramente i redditi per la crescita record del prezzo della benzina.
Ieri il petrolio ha sfiorato i 128 dollari al barile. Ormai la soglia di 130 è a portata di mano, ma quel che è peggio, molte previzioni (su tutte la Goldman Sachs) indicano una crescita fino a 200 dollari al barile entro 12-24 mesi. Certo, anche la speculazione fa la sua parte. Ad alimentare la crescita dei prezzi, le nuove minacce terroristiche da parte del leader di Al Quaeda, Bin Laden. Ma ci sono anche motivazioni più strettamente tecniche anche se con un prespposto politico. George Bush, ad esempio, è tornato a chiedere all’Arabia Saudita (principale produttore Opec) di mettere a disposizione più petrolio per soddisfare la domanda del mondo occidentale. Ma la richiesta si scontra però con due importanti ostacoli strutturali. In primo luogo la rigidità finora dimostrata da Rhyad su questo fronte e, fattore non indifferente, il fatto che circa tre quarti della capacità non utilizzata dell’Arabia Saudita è rappresentata da greggio di bassa qualità (pesante) e che quindi necessita di un trattamento più lungo e oneroso. Un «particolare» che non si coniuga molto bene con la capacità attuale delle raffinerie, le quali stanno già lavorando a pieno regime. In ogni caso l?arabia Saudita ha comunicato ieri di aver aumentato di 300 mila barili al giorno la produzione.
Senza dimenticare che intanto è diventata sempre più palese la carenza di disponibilità di prodotti raffinati e di gasolio in particolare, elemento che ha contribuito ad alimentare ulteriormente la speculazione in vista della stagione estiva, che per il mondo occidentale vuol dire maggiore domanda dal fronte dei trasporti. Altro elemento negativo: l’Iran che – all’inizio di questa settimana – ha ammesso di incontrare difficoltà a vendere greggio di qualità. Sul mercato c’è anche la convinzione che il dollaro non abbia molto spazio per apprezzarsi nel breve-medio periodo. Non a caso ieri la moneta americana è tornata a perdere quota sull’euro.
Su un fronte più strettamente economico, la spinta al rialzo è anche alimentata da una fase congiunturale che in Europa rallenta, ma non molto, come dimostrano i dati sulla crescita record del Pil soprattutto in Germania. Questo significa che la domanda di petrolio rimarrà elevata. Anche perché la Cina (oggi il maggior importatore mondiale di energia) seguita a crescere a ritmi spaventosi. Il risultato è che dall’inizio dell’anno il prezzo del petrolio è cresciuto di circa il 35%, negli ultimi dodici mesi l’aumento sfiora il 90%, mentre dall’inizio del 2007 le quotazioni sono salite del 130%. A mitigare la spinta rialzista non ha contribuito neppure la notizia che Bush ha deciso di non aumentareulteriormente le riserve strategiche.
Con questo scenario, non ha sorpreso più di tanto che la fiducia dei consumatori abbia registrato un nuovo scivolone nella prima quindicina di maggio. A a far paura è la mancanza di occasioni di lavoro (giovedì è stato comunicato che le richieste di sussidi di disoccupazione si sono impennate) e la crescita dei prezzi trainata dai generi alimentari e da quelli dei carburanti. Il Michigan consumer sentiment index è così sceso a 59,5 punti dai 62,6 di fine aprile. A tirare un po’ sù non ha neppure contribuito una piccola ripresa nella apertura di nuovi cantieri e nel rilascio delle licenze edilizie. D’altra parte, come ha ammesso lo stesso segretario al Tesoro, Henry Paulson, la correzione del mercato immobiliare iniziata nel 2006 non si è ancora esaurita e gli americani dovranno fare i conti con un’ondata di pignoramenti.