“Che” – l’argentino, di Steven Soderbergh

di Ilaria Mainardi

Che Guevara il medico, Che Guevara il rivoluzionario, Che Guevara l’icona laica e consumistica.
Non era difficile sbagliare il colpo né eccedere, da una parte o dall’altra, in vili encomi o in codardi oltraggi di manzoniana memoria.
Nulla di tutto questo, per fortuna.
Steven Soderbergh, Benicio Del Toro e compagnia filmante stupiscono (stupiscono?) con una ricostruzione non priva di alcune pecche sostanziali (come rileva correttamente Roberto Silvestri è impossibile una storia del Che che trascuri il rapporto fondamentale con Fidel Castro), tuttavia, in assoluto, onesta.

La vita di Ernesto Guevara, detto il Che, è ricostruita in un dittico (L’argentino e Guerrilla) che abbraccia poco più di un decennio di Storia: dallo sbarco della Granma a La Playa de las Coloradas attraverso la Sierra Maestra fino a Santa Clara, dal tentativo di aprire un fuoco di guerriglia in Bolivia fino all’uccisione “codarda” per mano di Mario Teran.
Il pubblico che non ha avuto la fortuna e il privilegio di godersi per intero le quattro ore e mezza dell’ultima fatica di Soderbergh (la sottoscritta, per esempio!) può ammirare nelle sale cinematografiche, dal 10 aprile scorso, la prima parte di questo coraggioso ed atipico biopic.
Innamorandosene magari, come è successo a me..
Si tratta, sempre a parafrasare il Manifesto, di un’opera quasi brechtiana, asciutta fino all’essenziale, compatta, antiretorica e antispettacolare. Parziale certo (ma come si può raccontare la grandezza di un uomo, di quell’uomo, con “solo” quattro ore e mezza di film?), tuttavia densa, lucida, pulita e lontanissima dall’apologia melodrammatica o dallo sberleffo propagandistico hollywood style.
Nessuna sterile agiografia, nessuna icona da t-shirt, solo la straordinaria grandezza di un Uomo raccontata con poche parole e molti fatti: il Che che cura i compagni, che ascolta e scruta attento, che insegna l’aritmetica, che pretende che i suoi uomini sappiano leggere e scrivere, che combatte con il coraggio assoluto dei veri eroi, coloro che avrebbero potuto fare una scelta diversa, più comoda.
Benicio, dal canto suo, si immerge con grande rispetto e amore (ma senza l’ombra di innamoramento narcisistico) in un ruolo la cui difficoltà è pari alla grandezza della Storia che lo vede protagonista. Si muove da eccellente interprete, raro per intelligenza e misura, nella complessità del Che e, dando l’impressione di non fare quasi nulla (come solo i grandissimi possono) restituisce tutta il vigore etico e la forza ideologica di un pensiero attualissimo.
Non è un film perfetto quello di Soderbergh, ma si colgono due sentimenti quasi del tutto estranei alla (sub)cultura italiana di questi anni: empatia (soprattutto nell’interpretazione di Del Toro) e pudore. Un buon punto di partenza, direi.
E non è un caso infatti che la monumentale fatica dell’eclettico regista di Atlanta sia stata accolta da ovazioni a Cuba e che la vedova Guevara abbia spesso incontrato Del Toro durante la preparazione del film. Non è un caso, d’altra parte, neppure che la distribuzione statunitense sia stata, per così dire, faticosa, e che un attore politicamente impegnato (e schierato) come Sean Penn si sia fatto carico di promuovere la diffusione del film di Soderbergh in patria.
“… sono nato in Argentina; non è un segreto per nessuno. Sono cubano e sono anche argentino e, se le signorie illustrissime dell’America Latina non si offendono, dirò che mi sento più di chiunque cittadino dell’America Latina, di qualsiasi Paese dell’America Latina; se fosse necessario sarei disposto a dare la mia vita per la liberazione di qualsiasi Paese dell’America Latina, senza chiedere nulla a nessuno, senza esigere nulla in cambio, senza sfruttare nessuno…”.
Questa frase, pronunciata dal Che durante il suo intervento all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (e ringrazio Sergio Marinoni per avermela fatta conoscere), non è stata utilizzata nella sceneggiatura di Peter Buchman, ma credo riassuma ed amplifichi insieme il clima che la narrazione cerca di creare: la dedizione ai propri ideali ed alla lotta unite alla consapevolezza eroica del rischio che si sta correndo.
Non so esattamente quale sia il potere di un’opera d’arte (e qualche volta me lo sono chiesto), ma una scintilla, un barlume, un piccolo moto, questi sì può scatenarli di sicuro. Aspetto con ansia la seconda parte del Che e tento di scrutare negli occhi del mio vicino di poltroncina quella scintilla che insieme a tante altre scintille può cambiare il mondo.