L’esigenza sociale e storica del partito comunista e la lotta dei comunisti per costruirlo

Intervista a Oliviero Diliberto a cura di Francesco Maringiò

Costretto ad un lungo periodo di riposo, a causa di un serio incidente al ginocchio, il compagno Oliviero Diliberto, segretario nazionale del PdCI, non sembra affatto sotto tono, quando ci accoglie nella sua casa. E lì, circondato dai suoi tanti e amati libri ed una graziosa gattina che ci gira attorno, inizia a parlare. Ed è un fiume in piena. «Accordo di governo, dopo le prossime elezioni nazionali? Sarebbe un errore, un guaio sia per noi che per il Pd, mentre ciascuno dovrà fare la sua, differente, parte. Questa è una crisi di sistema e per uscirne bisogna cambiare il sistema. Del resto i temi posti dai comunisti sono oggi, rispetto alla crisi strutturale del capitale e alle accelerazioni iperliberiste dell’Unione europea, più attuali che mai. Il punto è che occorrerebbe un partito comunista forte, radicato, di lotta e questo partito non c’è. Occorre risolvere il problema, contribuire alla costruzione di un partito comunista di questo tipo. E’ per questo che abbiamo lanciato, ormai da tempo (e solo parzialmente ascoltati) il progetto dell’unità dei comunisti. I comunisti e le comuniste bisogna unirli e unirle. Noi continueremo a lavorare per questo obiettivo e porteremo avanti questo progetto con tutti coloro che saranno disponibili ».


D. Una prima domanda sulla cogente attualità. Credi che si stiano determinando le condizioni per elezioni anticipate?

R. È molto probabile. È difficile che il Governo possa reggere alla crisi ed ai continui scandali, oltre alla rottura stessa che si è andata consumando nel Pdl. E poi Berlusconi ha tutto l’interesse ad andarci. La scadenza del 2013 è in contrasto con i suoi interessi personali perché non potrebbe candidarsi a Presidente della Repubblica. Non è inverosimile pensare che le elezioni politiche possano tenersi insieme alle prossime elezioni amministrative.

D. E secondo te, allora, cosa dovrebbero fare le forze della sinistra e, in particolar modo, i comunisti? Ripetere l’esperienza del 2006 e l’accordo di governo col centro-sinistra?

R. Obbiettivamente oggi non vedo alcuna condizione per un patto di governo. Un accordo di questo tipo, oggi sarebbe un guaio sia per noi che per il Pd : troppo distanti i progetti e i programmi. Invece un largo fronte democratico che contrasti la peggiore destra di tutta Europa è auspicabile. E mi auguro che vi siano le condizioni per cambiare la legge elettorale che è folle, obbliga a formare schieramenti eterogenei e crea un Parlamento che non rispecchia il Paese, visto che di fatto non è eletto ma nominato. Noi comunisti dobbiamo lottare e muoverci politicamente per il ritorno alla legge proporzionale : è una richiesta che dobbiamo avanzare e per la quale dobbiamo mobilitarci. Altra questione è la risoluzione del conflitto d’interessi. Berlusconi, col suo dittatoriale monopolio dell’intero mondo televisivo ha trasformato un intero popolo di telespettatori in suoi elettori. Da questo punto di vista, dal punto di vista dell’organizzazione degenerata dell’organizzazione del consenso la situazione italiana è di una gravità inaudita: non solo è ora ma è già tardi per riportare la democrazia su questo terreno e togliere a Berlusconi questo strapotere.

D. Concentriamoci sull’ Unione europea e sulla crisi che la sta attraversando. E’ questa, una crisi passeggera?

R. Se si analizzano le questioni si capisce come questa crisi non sia affatto ciclica e passeggera. Essa è dovuta alla finanziarizzazione del mercato (denaro che genera altro denaro) che ha colpito paesi diversissimi tra di loro, non necessariamente fragili dal punti di vista economico. E questo perché ci troviamo di fronte ad una vera e propria crisi capitalistica di sistema.

D. Questo vuol dire che ci troviamo di fronte a sconvolgimenti che cambieranno nel profondo l’Unione Europea e l’Eurozona?

R. Io temo che ci si stia avviando verso due euro-zone. La prima, forte, guidata dalla Germania. Ed una seconda, più debole, che è l’eurozona mediterranea (Portogallo, Spagna, Italia e Grecia) a cui verrà applicato un cambio diverso. Il che renderebbe tutto molto più complesso ed esporrebbe questi paesi al rischio di forti speculazioni finanziarie, che in parte stanno già avvenendo. Tutto questo si innesta su una crisi più complessiva che vede un attacco contro l’euro da parte degli Stati Uniti d’America e di alcuni speculatori europei.

D. Perché questo?

R. Fondamentalmente, perché l’euro è una moneta sui generis, priva di uno Stato nazione.

D. Si è parlato infatti di una moneta senza uno stato ed una politica economica.

R. Esattamente. E proprio questo essere una moneta senza Stato, fa dell’euro un paradigma emblematico del capitalismo, dove la politica viene cancellata e rimane solo il denaro.

D. Ma allora cosa pensi di questa Europa?

R. Questa Europa semplicemente non esiste. Voglio essere più esplicito: alcuni di noi hanno coltivato anni addietro l’idea che potesse nascere un’Europa politica, espressione dei popoli europei e con poteri decisionali, così che potesse formare un polo alternativo agli Usa. Ma tutto questo non è avvenuto e forse non poteva nemmeno avvenire. Lo dico con rammarico, ma bisogna prenderne atto, del resto gli Usa hanno lavorato sui singoli governi amici per impedire che si arrivasse ad un’unità politica. E la crisi sta ancora di più acuendo le difficoltà dell’Europa, rendendone impossibile la compiutezza di progetto politico, ma anzi disgregandola ancora di più, al punto che oggi, il Parlamento europeo è un vuoto simulacro, privo di poteri decisionali e di indirizzo.

D. Come si esce da questa crisi allora?

R. Come ho già detto prima, questa è una crisi di sistema. E allora non ci sono tante alternative: per uscire da una crisi di sistema bisogna cambiare il sistema. Il che, evidentemente, non vuol dire che io veda nell’immediato le condizioni per poterlo fare. I comunisti però hanno il compito di indicare una prospettiva di cambiamento radicale del sistema. Oggi più che mai la crisi rende attualissime le vecchie intuizioni contenute nel III libro del Capitale di Marx. Egli viveva in una economia con uno stadio embrionale di finanziarizzazione, ma aveva già allora lucidamente individuato i rischi enormi connaturati nel passaggio dalla fase in cui “merce produce denaro” a quella in cui “denaro produce denaro”. Ma tutto questo è intrinsecamente connaturato con il capitale. Oggi chi è comunista è più che mai attuale.

D. Ci sono, dunque, le condizioni per la ripresa della lotta e del conflitto? In Europa, in fondo, ci sono esempi che vanno in questa dimensione, basta vedere quello che accade in Grecia…

R. La ripresa delle lotte c’è. Ma proprio la Grecia ci dice che questo avviene se c’è un forte Partito Comunista, come il KKE, e un sindacato di classe. Non è l’unica condizione, ma è assolutamente indispensabile, altrimenti – come vediamo in Italia – le lotte sono parcellizzate ed incapaci di rappresentare gli interessi complessivi dei lavoratori.

D. E’ centrale il ruolo del KKE …

R. Assolutamente. In Grecia c’è un Partito Comunista forte, organizzato, che rasenta il 10% del voti, con strutture, militanti, organi di stampa: è un partito di massa. E quindi è in grado anche di essere parte integrante di queste lotte. In Italia invece noi dobbiamo ricominciare da capo, ed è evidente che il nostro cimento è quello di costruire una soggettività di radicale opposizione al capitalismo che sia in grado di proporsi come una speranza, una guida per il futuro.

D. Ma il KKE non parla solo al popolo greco. Nel loro striscione all’Acropoli di Atene i comunisti hanno invitato i popoli di tutta Europa a ribellarsi.

R. I greci hanno un fortissimo senso dell’internazionalismo che è figlio della loro storia e della loro precisa identità politica. Per cui non mi sono stupito, anzi ho condiviso questo appello. Bisogna vedere quanti sono in grado di raccoglierlo. La parcellizzazione delle forze della sinistra di classe e degli stessi comunisti a livello europeo è incredibile. Uno dei temi oggi è quello di ricostruire un internazionalismo credibile, senza il quale sarà difficile anche organizzare le lotte.

D. Veniamo all’Italia. Il Governo ha, per lungo tempo, disseminato ottimismo e fatto credere che la crisi fosse già passata. Ora invece si avvia ad una manovra finanziaria di “lacrime e sangue”. Tutto questo non dovrebbe aiutare a creare un clima ostile al governo delle destre e più vicino alle ragioni delle forze di sinistra e dei comunisti?

R. La crisi si accentuerà e porterà ad un ulteriore indebolimento delle fasce più deboli della popolazione, con tagli di stipendi, salari, pensioni e, soprattutto, tagli allo stato sociale. Tutto questo però non necessariamente porta a sinistra. In altre fasi drammatiche della storia europea è accaduto un pericoloso spostamento a destra. Anche perché per governare politiche così drasticamente antipopolari ci vogliono governi autoritari, la militarizzazione delle società. E infatti io sono molto preoccupato.

D. Che fare, allora ?

R. Io vedo due questioni: una grande questione democratica in cui i comunisti e la sinistra, assieme alle altre forze democratiche, devono lavorare per mantenere l’agibilità democratica della piazza, affinché all’esplodere del conflitto si mantenga la possibilità della protesta e della lotta sociale. Questo è nell’interesse di tutte le forze che si riconoscono nei valori dell’arco costituzionale.

D. E l’altra questione?

R. È un aspetto più squisitamente nostro, perché attiene alla nostra capacità di essere parte dei conflitti e guidarli. Oggi le lotte non sono sparite, ma sono oramai parcellizzate. Assistiamo all’esplodere di micro conflitti diffusi (di una città o addirittura di una sola fabbrica). Il compito di noi comunisti, se ci riusciamo, è quello di tessere la rete di questi conflitti e metterli su un piano politico più generale, che li faccia uscire da questa atomizzazione e spettacolarizzazione, indotta dal fatto che la cancellazione dai mezzi di comunicazione porta ad esasperare gli aspetti simbolici ed eclatanti, proprio per riuscire a bucare lo schermo e dare voce alla propria lotta e protesta.

D. E qual è, secondo te, il contenuto centrale che queste lotte devono fare proprio?

R. Oggi, dopo la grande ubriacatura neoliberista degli anni ’90 ritorna con forza il ruolo dello stato in economia. E con questo non intendo gli aiuti a pioggia per risanare i bilanci delle banche. Se lo stato concede degli aiuti, deve entrare nelle proprietà ed entrare nei consigli di amministrazione. Non c’è altra strada. So che su questo il Pd è sordo, ma si deve provare ad aprire una stagione nuova.

D. Veniamo alla sinistra italiana: come vedi la situazione? E soprattutto, come sono messi i comunisti in Italia?

R. Nei momenti di difficoltà tendono a prevalere sempre le divisioni, le diffidenze reciproche, i distinguo, che sono spesso di lana caprina. Oggi più che mai sarebbe necessario superare questa empasse per provare a ricostruire. In fondo sino a non molti anni fa i comunisti avevano una forza organizzata ed un consenso anche elettorale piuttosto elevato. Nel 2006 Prc e Pdci presi assieme viaggiavano su percentuali a due cifre. Poi ci sono stati errori drammatici, come la partecipazione al governo Prodi.

R. Esperienza dalla quale i comunisti ne sono usciti con le ossa rotte …

D. Dobbiamo trarne la giusta lezione: il partito di lotta e di governo non funziona. Una forza politica, questo almeno è la mia visione, deve sempre delineare una prospettiva di governo. Ma un conto è essere un partito di governo, altra cosa è essere un partito al governo.

D. Puoi chiarire?

R. Un partito di governo è un partito che, seppur piccolo, è in grado di prospettare soluzioni e proposte per il governo del Paese, ma questo non implica una automatica propensione al governismo. Bisogna vedere se ci sono le condizioni, se si hanno i rapporti di forza, se si è in grado di spostare i rapporti politici. Se tutto queste condizioni mancano, allora bisogna essere un partito di lotta. Le due cose assieme non riuscì a farle nemmeno il PCI quando aveva il 34% dei voti, figuriamoci se possiamo esserlo noi.

D. E cosa devono fare i comunisti, allora?

R. Oggi vedo tre terreni di battaglia…

D. Iniziamo dal primo.

R. L’agibilità democratica. Ne ho brevemente accennato prima ma ci ritorno. In Italia la questione democratica è molto più accentuata che nel resto d’Europa. Berlusconi ha di fatto azzerato il Parlamento, visto che il 93% delle leggi sono di iniziativa governativa. Se a questo si aggiunge l’attacco alla magistratura (terzo potere dello stato) e all’informazione (che nei paesi a democrazia avanzata rappresenta una sorta di quarto potere), capiamo come la questione democratica in Italia è davvero stringente. Ma ci rendiamo conto del fatto che, negli ultimi mesi, si sono persi 400 mila posti di lavoro e la Tv passa l’Isola dei Famosi?

D. E poi?

R. All’interno di questo fronte democratico, che si caratterizza per battaglie di difesa della democrazia costituzionale, ci deve essere il tentativo di allargare il più possibile la sinistra in quanto tale. Il Pd è un interlocutore che sul terreno sociale ha delle politiche neoliberiste che sono molto distanti dalle nostre. E quindi bisogna allargare e rafforzare la sinistra di classe. Per me il discrimine è la contraddizione tra capitale e lavoro, perché è la contraddizione principale nel mondo. In questo secondo terreno possiamo incontrare le forze politiche che non sono comuniste e che tuttavia coerentemente si battono per miglioramento delle condizioni di vita delle classi popolari.

D. Vedo prefigurare, in queste tue parole, un ragionamento a cerchi concentrici: prima il terreno largo della democrazia, poi la sinistra e le questioni di classe. Qual è il terzo cerchio, e quindi il perno di tutto questo?

R. Indubbiamente i comunisti. Oggi non solo la questione comunista è centrale, ma io vedo, come complementare a quanto detto prima, un processo di ricomposizione dei comunisti. Ricostruire la sinistra non vuol dire che non ci devono più essere i comunisti, è il contrario. Nel momento in cui si lancia una battaglia unitaria, e possibilmente si cerca di dar vita ad un fronte largo e democratico, i comunisti per non estinguersi o per non rimanere una nicchia ininfluente, devono lavorare per rimettersi tutti assieme, superando le divisioni che purtroppo nei momenti di crisi tendono ad accentuarsi, invece che attenuarsi.

D. Perché?

R. Perché si diventa autoreferenziali quando si è in pochi. Oggi, viceversa, ci sono anche le condizioni oggettive per provare, dentro un percorso a cerchi concentrici di alleanze, a mettere assieme tutti quelli che sono ancora comunisti. Per guardare avanti, perché la crisi ci sta dando ragione. È un paradosso pazzesco: la crisi ci da ragione e tuttavia siamo ridotti ai minimi termini. Quando Prc e Pdci assieme fanno il 3% dei voti, è un dato imbarazzante. Possibile che questo dato colpisca solo me?

D. E Rifondazione Comunista ?

R. Io ho grande rispetto per il Prc, ma non posso non rilevare come alla nostra richiesta del 2008 di riunificare i due partiti, Rifondazione abbia risposto con una pulsione tutta interna a quel Partito. Secondo me è un errore. Non possiamo che prenderne atto. E dico di più: la linea del Pdci resta in piedi e noi lavoreremo con quelli che sono disponibili a farlo. Il che non significa mettere in discussione il rapporto con le altre forze della sinistra, anzi: dentro una sinistra più larga, i comunisti devono poter esercitare un ruolo.

D. Ti sento deciso. E’ questa la strada?

R. Ma certo! In fin dei conti le contraddizioni che stanno esplodendo a livello planetario sono talmente enormi che solo un cieco, o uno in malafede, non vede il ruolo che noi potremmo avere. Il capitalismo è forte e pervasivo. Certo, si manifesta in forme diverse dall’800, come è ovvio, ma se uno si va a rileggere i nostri classici, penso innanzitutto agli scritti di Lenin, trova delle chiavi di lettura utili per capire l’attualità. Sapendo che lo scontro planetario oggi, a differenza che nel passato, è prevalentemente sulle fonti di energia e sull’autosufficienza alimentare. Da questo punto di vista la Repubblica Popolare Cinese sta facendo una politica realmente lungimirante, con i suoi rapporti non di rapina con un continente importante come l’Africa. Noi vogliamo interagire dalla nostra periferia con questi enormi fenomeni, o vogliamo stare a guardare? Io credo che vada ricostruito un moderno internazionalismo, e questo passa solo dall’azione dei comunisti.

D. Puoi continuare il ragionamento?

R. Questo in fondo è uno dei terreni unificanti tra i comunisti. Lo scenario mondiale sta profondamente cambiando. Dal Sudafrica, all’America Latina all’Asia. Tutto quello che si muove, va nella direzione di una redistribuzione, cioè in una visione anticapitalistica. Noi, ahimè, viviamo chiusi in un bunker e vediamo il mondo attraverso la feritoia di questo bunker. Bisognerebbe avere il coraggio di uscire fuori, guardare a 360 gradi. Questo lo possono fare solo i comunisti, perché solo loro mantengono una teoria generale di critica sistemica al capitalismo.

D. Che fare, allora?

R. I comunisti vivono oggi una fase difficilissima. Sarebbe facile mollare. Facile ma profondamente sbagliato. Il pendolo della storia ha consegnato alla mia generazione il compito di mantenere viva un’idea per consegnarla alle nuove generazioni. Da questo punto di vista anche proseguire nella ricerca teorica, nella ri-aggregazione degli intellettuali, facendoli uscire dalle loro ricerche settoriali, per metterli in rete l’un l’altro e dare vita ad una ricerca e ad un confronto permanente e strutturato, è un compito del presente. Una volta c’erano centri di ricerca e di studio marxista di altissimo prestigio. Tutto questo va ricostruito da capo. È un lavoro di lunga lena, ma che dobbiamo ricominciare.

D. In che modo?

R. Abbiamo costruito l’Associazione ” Marx XXI ” per cominciare a lavorare in questa direzione. Dobbiamo tutti impegnarci perché lavori bene, perché questo seme, riposto oggi su un terreno arido, possa germogliare. Sono sempre più convinto che, nello stato in cui siamo, questo nuovo inizio è indispensabile e va fatto con i passi giusti, ad iniziare dal fatto che è prioritario stare in mezzo alle lotte, altrimenti non recupereremo mai la credibilità nelle nostre classi di riferimento.

D. Un’ultima domanda.

R. Immagino sulla Federazione della Sinistra…

D. Esattamente: che ne pensi?

R. Penso che la Federazione della Sinistra rappresenti l’occasione per favorire l’unità d’azione dei comunisti insieme ad altre forze della sinistra. Poi bisogna dire che all’interno di uno dei due partiti comunisti ci sono militanti e dirigenti che non si ritengono più comunisti. Lo dico sommessamente e con rispetto, ma è un dato di fatto che c’è chi lavora per fare un nuovo soggetto politico della sinistra, archiviando la questione comunista.

D. E quindi?

R. Quindi sono sempre più convinto del fatto che la Federazione non deve assolutamente lasciare sguarnito il fronte interno. Insomma, dentro la Federazione i comunisti vogliono giocare un ruolo? Io voglio mettere il mio Partito a disposizione di un progetto di ricomposizione dei comunisti su basi più larghe, che non faccia cessare la prospettiva di una sinistra più larga e di un sistema di alleanze, ma all’interno della quale i comunisti contino, abbiano un ruolo ed abbiano una vocazione egemonica. Lavorerò – lavoreremo – per questo.