E Livorno la rossa sogna di rifondare Rifondazione

Viaggio nella città più bertinottiana d’Italia. Dove i giovani non votano e i vecchi delusi si interrogano

da Il Messagero

di Michele Concina

LIVORNO – Pascolavano a testa china, da bravi dinosauri, convinti che il loro mondo sarebbe rimasto intatto in eterno.  Non hanno visto, quelli di Rifondazione comunista, il meteorite che calava dal cielo, ad annientarli o quasi.  Solo adesso, frastornati e increduli, ricordano quei segnali.  Quel fischio, quello spostamento d’aria.  Si domandano come è potuto succedere, meditano smarriti su un futuro a dir poco eventuale.  Per leggere il dramma di militanti e quadri, il posto giusto è  Livorno , la città più rifondarola d’Italia: 1620 iscritti (ma dieci anni fa erano quasi 2300); il 16 per cento dei voti da soli alle politiche del 2006, precipitato al 6 domenica scorsa nonostante il cartello Arcobaleno con Verdi, Pdci e sinistra ex Ds.  O forse, proprio a causa di quell’alleanza.

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Grassi: «Il partito non si scioglie. Contarsi su questo è inevitabile»

di Matteo Bartocci

su Il Manifesto del 10/05/2008

«Unità a sinistra sì, ma per noi è chiaro che il Prc non è un partito transitorio. In questo congresso si decide il destino di Rifondazione comunista». Claudio Grassi, coordinatore dell’area Essere comunisti, è uno dei promotori della mozione firmata dall’ex ministro Paolo Ferrero. «Nel nostro documento – spiega Grassi – sottolineiamo la necessità del processo unitario a sinistra ma senza che venga messa in discussione l’autonomia politica, culturale e organizzativa di Rifondazione. Il partito insomma resta per l’oggi e per il domani. Gli altri compagni invece prevedono un percorso costituente che alla fine porterà al nostro scioglimento».

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La prima volta di Gagarin

di Giancarlo Lannutti

da Liberazione

Da quando è diventato “sapiens”, cioè essere pensante e ragionante, la storia dell’uomo è stata sempre caratterizzata da un desiderio insopprimibile di spingersi al di là dei confini del suo mondo abituale per sfidare l’ignoto, per esplorare quello che c’è al di là dell’orizzonte conosciuto. Lo testimoniano tutte le storie e le leggende dell’antichità, dal volo sfortunato di Icaro al viaggio avventuroso di Ulisse e al mito delle Colonne di Ercole; racconti ed eventi che hanno nutrito la nostra gioventù sui banchi di scuola e che hanno costituito l’antefatto, o piuttosto il primo atto, di una infinita serie di esplorazioni anch’esse diventate spesso leggendarie, fino a quelle dei giorni nostri, come le spedizioni polari, la cosiddetta conquista del Terzo Polo (cioè delle 14 vette himalayane superiori agli 8mila metri) e – ultimo in ordine di tempo ma non di importanza – il volo nello spazio e lo sbarco sulla Luna. Ecco: il volo, lo spazio, la Luna; fra tutte le sfide verso l’ignoto questa è forse la più antica, la più ambita e anche la più sofferta, l’ansia ancestrale di “fare come gli uccelli”, di infrangere le catene che ci tengono con i piedi per terra, anche quando non sapevamo (o non sapevano ancora) che la Terra è rotonda e che quelle catene si chiamano forza di gravità. E quale nome se non quello di Yuri Gagarin può meglio di ogni altro simboleggiare quell’ansia, quella spinta e – alla fine – quella conquista? Gagarin, il piccolo uomo che per primo nella storia dell’umanità ha provato l’emozione e il privilegio di librarsi non solo nel “nostro” cielo ma addirittura alle soglie delle profondità nere del cosmo.

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