Comunicato stampa sull’accordo sulla Giolfo e Calcagno

Livorno, 11 novembre 2010

Chiuso il rubinetto del gas ai lavoratori della Giolfo e Calcagno, la liquidatrice è stata irremovibile sul prolungamento della cassa integrazione in deroga di cui la Regione si sarebbe fatto carico fino ad un altro anno, a tale proposito i lavoratori si erano resi disponibili a qualsiasi proposta.

Ma, era nell’aria l’interesse a forzare i tempi per chiudere velocemente questa partita con i lavoratori in lotta e non possiamo sottolineare come gli strumenti utilizzati sono stati a dir poco vergognosi. Dopo due anni di crisi dichiarata (crisi non dipendente dalla capacità produttiva o di mercato ma esclusivamente problemi legati alla gestione della proprietà), dopo due settimane di occupazione con la protesta di Claudia Cerase salita il 2 novembre sul tetto della fabbrica, a soli tre giorni dalla scadenza della Cassa integrazione, finalmente il tavolo con le Istituzioni e la presenza di Centro Banca e della liquidatrice. Oltre sei ore di tentativi di trattativa per portare la liquidatrice a ragionevoli consigli, il risultato è stato un ultimatum, fino ad arrivare al il ricatto del fallimento della società, minacciando in questo modo di ritardare il pagamento del TFR, infine solo pochi minuti in cui si poteva solo accettare l’unica proposta messa in campo dalla liquidatrice.

L’accordo di fatto riconferma quello del gennaio 2009, cioè un impegno a facilitare le condizioni di ricollocazione del personale attualmente impiegato in funzione delle opportunità di reindustrializzazione che si presenteranno e a baratto di un solo mese di continuità di Cassa Integrazione, è stato preteso il rinnovo della concessione demaniale da parte dell’Autorità Portuale e persino la sistemazione della banchina, oltre ad interrompere le iniziative di lotta ed eventuale occupazione del sito da parte dei lavoratori. Pertanto al 31 dicembre, i lavoratori riceveranno la liquidazione delle competenze previa conciliazione individuale in sede sindacale e saranno messi in mobilità. Cioè licenziati.

Siamo sinceramente convinti che era possibile fare di più e in particolare che le istituzioni avrebbero potuto imporsi maggiormente, considerato che concessione e risanamento della banchina significano soldi, risorse pubbliche che certamente agevoleranno la vendita e incentiveranno l’acquisto del sito anche se sulla richiesta pretesa ancora rimane un mistero, a parte la smentita dei 25 milioni di euro.

Lo diciamo con affetto e sincerità Claudia ha fatto un grandissimo lavoro, la sua lotta e la sua determinazione è stato certamente un esempio per i tutti lavoratori delle altre industrie che nella nostra provincia soffrono delle stesse difficoltà e incertezze per il futuro come dimostrato dalla solidarietà e presenza ai presidi delle delegazioni di altre industrie cittadine.

Ormai l’accordo è siglato e una cosa è certa, cosi come certamente faranno le OO.SS., ma per quanto di nostra competenza, vigileremo e seguiremo passo per passo il percorso futuro affinché tutti i 59 lavoratori in mobilità restino effettivamente attaccati alla destinazione del sito e che l’impegno sottoscritto con l’accordo del gennaio 2009 si concretizzi in atti di ricollocazione al lavoro, il prima possibile.

 

Silvio Lami – capogruppo PRC Provincia di Livorno

Michele Mazzola – capogruppo PdCI Provincia di Livorno

Grecia, il Pasok tiene e i comunisti volano alto

di Victor Castaldi

su Liberazione del 09/11/2010

Nonostante un crisi economica brutale e delle soluzioni per venirne fuori ancor più devastanti del male, il premier Papandreou ha vinto la sua scommessa, passando indenne le forche caudine delle temutissime elezioni regionali. Il suo partito socialista ha infatti tenuto botta, arrivando al primo posto in sette delle 13 megaregioni in cui è suddivisa la mappa amministrativa della Grecia e che sostituiscono per la prima volta le precedenti 57 province. Papandreou si libera così dello spettro di elezioni politiche anticipate che aveva evocato alla vigilia in caso di una netta sconfitta. «Il popolo che ci portò al potere un anno fa ha confermato che vuole il cambiamento, e quindi proseguiremo per la nostra strada con i nostri obiettivi», ha detto a caldo il premier. Un discorso che è piaciuto molto ai mercati, tanto che la Borsa di Atene ha aperto in netto rialzo. Certo, il Pasok ha vinto ma non ha convinto. Se un anno e mezzo fa i distaccava l’opposizione di centrodestra di oltre dieci punti, oggi la distanza tra i socialisti e Nuova Democrazia si è ridotta al 2,5%. I conservatori riescono infatti ad imporsi nel grande collegio della Macedonia centrale e nelle due principali aree metropolitane del paese, Atene e Salonicco dove si andrà comunque al ballottaggio. Un discreto risultato anche se la tanto evocata rimonta non c’è stata. anche perché i greci ricordano le responsabilità dell’ex premier Karamanlis nella crisi. Alla fine l’unico vincitore della contesa è il Partito comunista (Kke), che sfiora il 12% dei consensi, oltre quattro punti in più rispetto alle legislative del 2009, con un picco del 15% proprio nella regione di Atene, dove sarà più che decisivo per gli esiti del secondo turno. Un’affermazione, quella del Kke che da una parte inceppa il meccanismo bipolarista che caratterizza da decenni la scena politica ellenica. E che dall’altra raccoglie la rabbia di coloro che più di tutti hanno pagato il prezzo della crisi economica, impiegati pubblici, lavoratori dell’industria, giovani disoccupati; un elettorato che, dopo il piano lacrime e sangue varato dal governo per fronteggiare la recessione, ha voltato le spalle al Pasok e che ora si rivolge altrove. In mezzo a questi dati, spicca un’astensione altissima, superiore al 40%, anch’essa figlia della crisi economica e della frustrazione di un paese che dal punto di vista sociale sembra costantemente borderline. Se il premier può tirare un sospiro di sollievo per aver evitato una disfatta elettorale, farebbe comunque bene a riflettere sul sgnificato politico del voto di domenica e sul giudizio che i greci hanno delle ricette economiche ddell’esecutivo.«Papandreou canta vittoria, ma non ha affatto compreso il messaggio degli elettori i quali hanno respinto la politica di asuterità e tagli sociali concertata dal governo con l’Unione europea e il Fondo monetario», ha commentato la segretaria del Kke Aleka Papariga, lasciando intendere che il suo partito non farà sconti ai socialisti. A cominciare dai ballottaggi.

I dieci giorni che sconvolsero il mondo: 93° anniversario della rivoluzione d’ottobre

Riportiamo qui un articolo di Alexander Hobel, scritto in occasione del 92° anniversario della rivoluzione e pubblicato lo scorso anno su www.lernesto.it ma ancora oggi, ad un anno di distanza molto attuale, così come rimangono attuali ed eterne le idee e le convinzioni che spinsero uomini e donne a compiere la più importante rivoluzione della storia contemporanea: la Rivoluzione d’ottobre.

Perché ricordiamo la Rivoluzione d’Ottobre
 
di Alexander Höbel
 
A 92 anni dalla Rivoluzione d’Ottobre, qualcuno potrebbe chiedersi (e chiederci) perché celebriamo ancora quell’evento. A parte il fatto che anche date come il 14 luglio 1789 continuano a essere giustamente ricordate e celebrate, il punto centrale è un altro; e cioè che continuiamo a pensare che quell’evento abbia cambiato la storia del mondo, e che i suoi insegnamenti – e in generale la lezione del leninismo – siano tuttora fondamentali.
 
Tanto per cominciare, non si ricorderà mai abbastanza il fatto che quella Rivoluzione nacque in opposizione al massacro della guerra imperialista – la I Guerra mondiale – che stava devastando il mondo, trasformò l’ennesimo macello prodotto dalle logiche del capitale in un’occasione di trasformazione sociale, e costituì la leva essenziale della dissociazione della Russia – ormai Russia dei soviet – da quella “inutile strage”, giungendo a una pace giusta e senza annessioni (anzi, con la perdita di rilevanti pezzi di territorio), con un gesto che valeva molto di più delle vuote invocazioni pacifiste di tante forze democratiche e socialiste, cui poi non corrispondevano scelte conseguenti. Gli altri decreti varati all’indomani della Rivoluzione – quelli sulla terra ai contadini, la nazionalizzazione dei grandi impianti, il potere dei soviet, il rispetto delle nazionalità e il criterio della libera adesione al nuovo Stato – costituirono le prime realizzazioni di quegli obiettivi che i bolscevichi avevano proclamato prima della presa del potere: anche in questo caso,
una coerenza tra il dire e il fare, che accrebbe grandemente il consenso popolare.
  
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Comunicato stampa

Il corteo di Sabato 23 ottobre al quale hanno partecipato moltissime soggettività , assume un significato del tutto entusiasmante e peculiare, pertanto occorre sottolineare come questa giornata di lotta non possa essere bollata solamente come una contromanifestazione per la commemorazione della battaglia combattuta in nome e per conto del governo fascista ad El Alamein nel 1942, poiché la manifestazione aveva un suo ben chiaro e preciso obbiettivo era per ; per il lavoro, per la democrazia, per il sociale per la scuola ed era contro; contro la guerra contro l’esaltazione di idee  stampo fascista contro la repressione contro la violenza di questa società . Pertanto  il  comitato promotore ha stimolato una partecipazione di massa da cui si può senza dubbio, evincere che occorre un cambiamento radicale dell’attuale situazione politica, economica e sociale. Infatti, la notizia che in una situazione del tutto claudicante per non dire di peggio dell’economia  italiana, si stanziano 29 miliardi di euro per le spese militati, mette in prominenza la natura di classe di questo governo di destra e come  voglia tramite le spese militari ritagliarsi un ruolo sullo scenario internazionale, un governo al quale è estremamente arduo trovare aggettivi adeguati per descriverlo. Partendo così da una imprescindibile disapprovazione per uno stanziamento così smisurato e ingiustificato  per finanziare le guerre e le armi e dalla proposta di traslare  quei 29 miliardi  in favore del  lavoro ,per il sociale e per la cultura nonchè ribadire un forte e chiaro no alla guerra e alla militarizzazione dei territori,(il nostro ne è un esempio lampante: Camp Darby e lo scellerato progetto dell’Hub militare a Pisa) la manifestazione di Sabato lancia il suo richiamo affinché si giunga a Livorno e oltre ad una stagione di lotta basata su queste idee basilari  per chi crede e auspica che un altro mondo è possibile. La lotta alla crisi che investe la nostra città procurando danni incalcolabili in merito alle questioni sociali e del lavoro, con un aumento quotidiano delle situazioni di crisi, passa anche attraverso giornate come questa; quindi che il messaggio chiaro e forte giunto  da  Sabato sappia far vivere e progredire l’idea di  una alternativa al modello di sviluppo attuale e alle sue conseguenze nefaste.

Lorenzo Cosimi – Segretario federazione PRC Livorno 

Michele Mazzola – Segretario federazione PDCI Livorno