FDS Livorno: “Pieno e convinto sostegno alla mobilitazione dei lavoratori contro le liberalizzazioni nel commercio”

Una delle poche certezze contenute negli orientamenti del Governo Monti sulle liberalizzazioni, riguarda le aperture degli esercizi commerciali le domeniche ed i giorni festivi.
Se su tutto il resto, il dibattito nel parlamento è ancora aperto, e ferve il lavoro delle varie forze politiche per dare uno sbocco normativo alle rivendicazioni di alcune categorie, sul versante del commercio l’affondo del governo è pesante e, non sembra trovare alcun contemperamento per l’indifferenza dei soggetti che compongono quella strana coalizione che è l’attuale maggioranza.
E’ in questo quadro che le organizzazioni sindacali, CGIL in testa, hanno lanciato per domani una importante mobilitazione nazionale per esprimere la propria contrarietà a questi provvedimenti. Una mobilitazione unitaria che merita il pieno e convinto appoggio politico della Federazione della Sinistra di Livorno e l’impegno a portare il problema dentro i vari ambiti istituzionali.
Non solo perché saranno ancora una volta i lavoratori a pagare sulla propria pelle il prezzo delle aperture e questo sarebbe già una ragione per noi più che sufficiente per sostenere la loro lotta.
Ma anche perché è chiaro che in questo modo si è imposto alla competizione un terreno che finisce per premiare chi è interessato essenzialmente a fare cassa, a dispetto della ricerca di alti standard di qualità e di un rapporto negoziale con le organizzazioni sindacali.
E questo a maggior ragione in un momento in cui anche in seguito alle manovre unilaterali di questo governo ed alla proposta di riforma fiscale, è di fronte a noi crescente riduzione dei consumi.
Il rischio per tutti è che nella competizione selvaggia finiscano per soccombere i piccoli esercizi e quegli esercizi medio-grandi socialmente più responsabili, con un danno occupazionale evidente e con condizioni di lavoro ancora peggiori in un settore già in sofferenza.
Il nostro impegno, a fianco delle organizzazioni sindacali e a quelle di categoria più attente al problema, vuol rappresentare un contributo per evitare che questo drammatico scenario possa realizzarsi, anche incalzando le istituzioni locali a svolgere quel ruolo politico che finora è clamorosamente mancato.

Livorno, 3 marzo 2012

Federazione della Sinistra – Livorno

Saviano, prima di parlare di Gramsci leggi almeno l’indice

 

di Alberto Burgio
Martedì scorso sulla Repubblica Roberto Saviano ha recensito con toni entusiastici un libro sulle «due sinistre»: quella rivoluzionaria, brutta, sporca e cattiva, impersonata da Antonio Gramsci, e quella riformista, buona e gentile, rappresentata da Filippo Turati. Il libro, opera di Alessandro Orsini, giovane sociologo politico, sembra a Saviano niente meno che «la più bella riflessione teorica sulla sinistra fatta negli ultimi anni»…
La tesi del libro è semplice e niente affatto inedita. Da una parte c’è la sinistra riformista, realistica, sinceramente preoccupata delle sorti dei subalterni, quindi capace di valorizzare le piccole conquiste giorno per giorno (in una prospettiva che qualche tempo fa si sarebbe definita «migliorista»); dall’altra, la sinistra rivoluzionaria, violenta e pretenziosa, accecata dall’ideologia e intollerante delle altrui posizioni (la sinistra, per intenderci, dei faziosi e dei «fondamentalisti»).
Inutile dire che questa seconda sinistra – abituata ad aggredire gli avversari a suon di insulti e pugni in faccia, quindi un po’ fascista – è per Saviano la sinistra comunista, erede, scrive, della «pedagogia dell’intolleranza edificata per un secolo dal Partito Comunista»; mentre l’altra – riformista – è la sinistra socialista. Come nelle fiabe della nonna, insomma, tutti i buoni da una parte, tutti i cattivi dall’altra: un bel quadretto manicheo che la dice lunga sulla raffinatezza del personaggio e la complessità della sua visione.
Ma qual è il punto? Saviano, mascotte della fazione progressista, si arrabatta come può nell’argomentare, a suon di esempi ad hoc e citazioni estrapolate, una tesi inconfutabile perché arbitraria. Gli si potrebbe ricordare, se ne valesse la pena, che Benito Mussolini – non propriamente un campione di mitezza e tolleranza, come proprio Gramsci gli potrebbe ricordare – venne fuori dalle file socialiste, che del socialismo italiano sono purtroppo eredi i più facinorosi colonnelli berlusconiani e che senza i comunisti questo Paese non avrebbe avuto né la Resistenza né quella Costituzione antifascista che Saviano giura di venerare. Ma ne vale la pena?
No. E nemmeno merita tempo indugiare su altre stranezze di questo articolo: il suo argomentare a favore della mitezza ricorrendo a caricature e a mistificazioni; il suo perorare la causa delle buone eresie accodandosi ai più vieti luoghi comuni; il suo ridurre una vicenda complessa e contrastata a uno povero schemino di cui anche uno studentello svogliato si vergognerebbe. Meglio lasciar perdere, e limitarsi a constatare, desolati, a che cosa ci si può ridurre quando si è mossi dalla preoccupazione di piacere e di seguire l’onda. A Saviano diamo solo un suggerimento: legga quanto Gramsci scrive sul servilismo degli intellettuali. E stia tranquillo, non dovrà leggere tutti i Quaderni (il tempo, si sa, è denaro): nell’edizione c’è un ottimo indice analitico.