La lezione da trarre dal risultato siciliano

di Gianluigi Pegolo

 

I risultati delle elezioni siciliane sono ormai chiari e non mancano i commenti. Anziché soffermarsi su ulteriori elaborazioni dei dati a disposizione, e in attesa di eventuali analisi dei flussi che potrebbero mettere in evidenza dinamiche al momento non evidenti, conviene ora approfondire le implicazioni del voto sul piano generale e per ciò che attiene, nello specifico, alle forze di sinistra.
Partiamo dal risultato generale. Esso mette in luce, da un lato, una crisi senza precedenti nel rapporto fra cittadini e politica (testimoniato dalla grande crescita della già elevata astensione) con una forte spinta verso posizioni di contestazione radicale dei partiti (ben espressa dal grande consenso ottenuto dal Movimento 5 stelle).
Questo terremoto politico fa saltare la governabilità e il bipolarismo. La vittoria di Crocetta non garantisce un quadro politico stabile e la formazione della maggioranza implicherà, con tutta probabilità, un accordo con altre forze moderate, probabilmente con gli eredi di Lombardo. La vittoria della coalizione PD-UDC, inoltre,  è il prodotto più della rottura del centro destra che di una crescita dei consensi elettorali. Quello che si è verificato è stato, infatti, la tenuta in peso percentuale di PD e UDC, in ragione di un calo di voti  inferiore  a quello del  PDL, che invece subisce un vero e proprio crollo. A sinistra il risultato decisamente negativo è sia conseguenza dello tsunami dell’antipolitica (si guardino i risultati di Palermo e li si confronti con quelli delle recenti comunali), sia di evidenti errori (dalla presentazione di due liste, anziché di una sola, al cambiamento in corsa del candidato presidente). Non è credibile, invece, imputare a queste forze l’errore del mancato apparentamento con il PD, a meno di non ritenere praticabile un accordo con forze – come l’UDC o, domani, gli uomini di Lombardo – che sono stati diretti responsabili del malgoverno della regione.
Questi risultati sono destinati a impattare sul quadro politico nazionale. La prima conseguenza è il rafforzamento della linea bersaniana dell’alleanza del centro-sinistra con il centro moderato e, simmetricamente, l’accrescersi delle difficoltà di quanti a sinistra puntano sul rapporto con il PD in vista delle prossime elezioni politiche (in primis SEL). Il pressing sul gruppo dirigente del PD a liberarsi definitivamente dal condizionamento della sinistra è  in queste ore evidente e proviene sia dal centro che da settori interni al PD. Sull’altro fronte, e cioè il centro-destra, il quadro si fa molto complicato. L’ipotesi di costituzione di un largo schieramento dal centro alla destra, cui puntava Alfano, imperniato sulla continuità dell’esperienza Monti e sulla rimozione dell’ingombrante presenza di Berlusconi, incontra oggi crescenti difficoltà derivanti sia dal pesante insuccesso del Pdl, che dal successo simmetrico dell’alleanza PD-UDC, che infine dalle incursioni dello stesso Berlusconi, sempre attratto dalla prospettiva di ricostruire il centro-destra su un profilo fortemente populista, intercettando parte della protesta antipartito sempre più dilagante.
Di fronte a questo scenario che delinea una prospettiva possibile (anche se non del tutto certa), le forze di sinistra e quelle che con più determinazione hanno assunto una posizione di opposizione rispetto al governo Monti sono poste di fronte a interrogativi cruciali circa i contenuti della loro azione politica e le scelte di schieramento, interrogativi che riguardano i prossimi passaggi politici (le elezioni politiche), ma che si proiettano anche su un più lungo futuro e che rimandano alla  costruzione di un profilo credibile. A tale riguardo, alcune considerazioni possono essere fatte. E’ per esempio evidente che l’asse PD-UDC si fonda sull’assunzione dell’”austerità” come principio ispiratore delle scelte di politica economia (in ciò in continuità con Monti), semmai parzialmente moderata da una maggiore attenzione ai processi redistributivi. Questa linea può incontrare i favori di settori del padronato preoccupati da un eccessivo calo dei consumi interni, ma presuppone comunque il rispetto degli orientamenti dettati dalla UE e, quindi, dà per scontata una forte riduzione della spesa pubblica e l’alienazione di quote consistenti del patrimonio pubblico. La segreta speranza sta nella ripresa della crescita, ma si tratta di una speranza oggi priva di basi concrete e minata in partenza dall’approccio rigorista. La sinistra non può appoggiare questa impostazione. Essa, semmai, deve porsi il problema di farsi portavoce di un punto di vista alternativo ed erodere il parziale consenso che il “rigorismo moderato” ancora incontra. Ciò implica sia un progetto di governo del paese conseguente, che un ruolo “attivo” nella costruzione dell’opposizione sociale, cosa diversa dal semplice appoggio alle iniziative di lotta in corso. Questo ruolo deve accompagnarsi a una proposta politica che poggi sulla costruzione di una aggregazione di forze forte programmaticamente e molto inclusiva sul piano delle relazioni sociali e politiche. Una aggregazione che si esprima elettoralmente con una lista (evitando gli errori di divisione commessi in Sicilia) che faccia dell’uscita dal “montismo” la propria carta d’identita’. Proposte avanzate in questi giorni, come quella di De Magistris, vanno in questa direzione e per questo vanno attentamente considerate.  Quanto al perimetro di una simile aggregazione, occorre mettere insieme uno schieramento che vada da Alba all’Idv, dalla FdS alle realtà sindacali e di movimento che condividono questa impostazione. Questa proposta è ad oggi l’unica possibile per dare una risposta positiva al crescente disagio sociale, evitare lo smottamento inarrestabile verso il centro, contrastare le sirene dell’antipolitica  e offrire ai lavoratori e alle masse popolari una prospettiva di uscita da sinistra dalla crisi.

da web.rifondazione.it