Sinistra, i danni dell’arcobalenismo e il fantasma di un riformismo che non c’è

Gli elettori hanno fatto il loro ’98, i segnali per capirlo c’erano tutti a partire dai fischi di Mirafiori. Ora, ripartiamo con umiltà.

di Giorgio Cremaschi

L’inesistenza di una forte opposizione politica è il frutto finale e più velenoso della politica di questi 15 anni. Ed è per questo che, per ricostruire l’opposizione, bisogna riconoscere le ragioni della sconfitta. E così anche risalire alle responsabilità soggettive, che in politica ci sono sempre.
Contrariamente a quello che viene sostenuto dai grandi giornali d’opinione, che dopo aver per anni fatto proprio un centrosinistra liberale oggi si prostrano di fronte a Berlusconi, la prima sconfitta è quella del riformismo politico italiano. Il riformismo è oggi una ideologia politica che pensa di governare la globalizzazione attraverso il pieno dispiegamento del mercato, di cui si vorrebbero frenare solo le tendenze monopoliste, e la riduzione dello Stato e delle garanzie sociali, concertata con i sindacati. In Europa il riferimento principale di questa ideologia è stato il leader laburista Blair: oggi il suo partito si sta sfaldando e si annuncia il ritorno al governo dei conservatori.

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Grassi replica a Occhetto

Dichiarazione di Claudio Grassi – Comitato di Gestione Prc

Leggo che Achille Occhetto propone ad una parte di Rifondazione di rompere gli indugi e, comunque vada il congresso, di fare una scissione per dare vita ad un partito non più comunista.
Dopo aver sciolto il Pci, dopo aver concorso – assieme alla Confindustria e a Mario Segni – ad abolire il sistema proporzionale, dopo aver fondato il movimento Occhetto-Di Pietro, oggi ce lo ritroviamo, in qualità di autorevole dirigente di Sinistra Democratica, a darci di nuovo lezioni di come dovrà essere la Sinistra!

E noi di Rifondazione dovremmo scioglierci per dare ragione ad Occhetto che in venti anni non ne ha indovinata una?
Con buona pace di Occhetto, Mussi e Fava, che ci chiedono di rifare la Bolognina dopo 19 anni, Rifondazione comunista non si scioglierà e lavorerà per costruire una unità della sinistra che parta dal basso e dalle lotte.
Al contrario, costruire una unità della sinistra di ceti politici ormai totalmente screditati tra i lavoratori e la sinistra non ha alcun senso, come hanno  dimostrato il 13-14 aprile e il fallimento dell’esperimento della Sinistra l’Arcobaleno.

Non abbiamo il diritto di isolarci, come diceva Marx

di Marco Sferini

Avevo provato alcune volte ad immaginare una vita politica e sociale priva di Rifondazione Comunista: l’avevo immaginata non tanto come una scena dove fosse rappresentato un Parlamento senza comunisti o, anche più modestamente, senza deputati e senatori di sinistra. No, l’avevo figurata nella mia mente proprio come un tessuto sociale dove non esistesse più alcun ruolo per i comunisti, prescindendo dunque – e chissà mai per quale ragione – dalla disposizione parlamentare del Partito, dal suo ruolo nelle istituzioni. Forse un riflusso di libertarismo anarcoidaile, o forse una riflessione monca, costruita con i mattoncini di un pensiero che non avrebbe mai contemplato il risultato elettorale dello scorso aprile dove, preludio ad una nostra fuoriuscita dalla vita sociale del Paese, si è manifestata in tutta la sua dirompenza la serrata delle porte di Palazzo Madama e Montecitorio per il PRC e per gli altri soggetti politici che avevano raffazzonatamente dato vita a la Sinistra l’Arcobaleno.

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Abbattere il muro dell’anticomunismo

di Gilberto Volta

E’ tutto vero (o quasi). I comunisti non sono in Parlamento, come nessuno de “la Sinistra l’Arcobaleno”, per la prima volta dopo la vittoria della coalizione antifascista sul nazifascismo nel 1945. E’ una catastrofe elettorale.

Naturalmente, hanno concorso a questo risultato molte cause, che sono indicate in tutte le cinque mozioni (ma perché non si è voluto fare un solo documento a tesi emendabili?). Sono indicate anche cause che non mi paiono vere. La mozione di Vendola sostiene che una causa sia che la “SA” è stata percepita solo come cartello elettorale e non come un primo passo verso un unico partito della sinistra, non più comunista. L’idea comunista avrebbe potuto continuare ad esistere come “tendenza culturale” insieme ad altre in attesa che venisse soppiantata da future nuove tendenze.

Sono convinto, al contrario, che ripetere in campagna elettorale che il processo verso questo partito unico non più comunista era “irreversibile” abbia fatto sì che chi voleva continuare ad essere se stesso (comunista, verde, ecologista, eccetera) – pur volendo una grande unità fra tutte le forze di sinistra – non abbia votato questa lista per non avvalorare questa prospettiva, che i comunisti, fra l’altro, ritengono esiziale in quanto significherebbe la rinuncia all’obiettivo strategico di superare il capitalismo e costruire il comunismo (come organizzazione sociale).

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